Al termine della scuola superiore si profila per lo studente una scelta difficile, irta di incognite: si tratta di decidere se continuare gli studi o cercarsi subito un lavoro.
La congiuntura economica, caratterizzata da un crisi che si trascina ormai da un decennio, non aiuta, ma anzi contribuisce a confondere i ragazzi in una scelta cruciale per la loro esistenza. Lo sviluppo tecnologico incalzante, caratterizzato dalla rivoluzione digitale e l'affermazione economica di Paesi un tempo poveri come, per esempio, Cina, India, Brasile, Russia, Corea del Sud e Sud Africa hanno radicalmente cambiato in pochi anni il mercato del lavoro. Mentre la competizione tra nazioni e lavoratori è sempre più accesa, decine di professioni e milioni di posti di lavoro sono scomparsi, non rimpiazzati al momento da nuove occupazioni, rendendo ancora più incerto il futuro dei giovani.
I tempi di crisi sono quasi sempre, tuttavia, anche tempi di grandi opportunità. Io credo che, qualsiasi cammino si intraprenda, lo studio non abbia perso valore. Anzi, credo che studiare con serietà e impegno debba essere ancora prioritario, anche se si decide di intraprendere da subito una carriera lavorativa. Uno studio che, nell'ambito della attuale "società della conoscenza", non si può limitare agli anni giovanili dell'istruzione scolastica, pur di alto livello, ma deve necessariamente protrarsi per l'intero arco dell'esistenza di ciascuno di noi.
Alla luce del trionfo della società dell'informazione e dell'informatizzazione, le nozioni, i metodi, le abilità richieste dal mondo odierno cambiano ad una velocità vertiginosa. Mentre nuovi lavori si affacciano faticosamente e imprevedibilmente all'orizzonte, vecchie professioni e vecchi lavori esigono oggi di essere svolti in maniera diversa rispetto al passato, tecnologicamente aggiornata, innovativa, per sostenere una competizione che non è quasi mai soltanto locale, ma risulta essere sempre più spesso globale.
Ciascuno di noi diventerà, già nell'immediato futuro, assoluto responsabile della propria performance lavorativa e perciò, del bagaglio di conoscenze teoriche e abilità pratiche necessario per svolgerla al meglio.
A mio avviso l'istruzione scolastica manterrà il
suo ruolo centrale nella formazione
dell'individuo, del cittadino e del lavoratore
ma, nello stesso tempo, aumenteranno i canali
cui attingere per mantenersi costantemente al
passo con i rapidi mutamenti e con le incalzanti
richieste della società e di un mercato del
lavoro mobile ed esigente. Già adesso
intravediamo quali sono i canali che contendono
e contenderanno alla scuola tradizionale il
monopolio della conoscenza: Internet, che
veicola con rapidità impressionante un sapere in
crescita geometrica e capillarmente diffuso, la
formazione a distanza, l'offerta di corsi online
su temi circoscritti da parte delle università
più prestigiose (i cosiddetti MOOC,
ovvero Massive Open Online Course), che
prefigurano un'università futura completamente aperta e
globale, la formazione organizzata dalle stesse
aziende, in particolar modo da quelle di medie e
grandi dimensioni, lo studio personale,
alimentato da bisogni, interessi e curiosità
specifici, da condurre attraverso mezzi mai così
copiosi come nell'epoca attuale, la stessa
televisione ( nonché la radio), un tempo medium
di quasi esclusivo intrattenimento, che dedica
invece attualmente interi canali ai temi
educativi, i più disparati, confezionando e
offrendo ai propri utenti programmi di grande
qualità e utilità formativa.
Se non ho compreso male, si va verso un processo
di personalizzazione sempre più marcato della
formazione e dell'istruzione individuali.
E anche nel caso della scelta della prosecuzione degli studi all'università, non è da scartare l'ipotesi di intercalare lo studio con il lavoro, magari estivo, magari accontentandosi di piccoli lavoretti, così diffusi in realtà più avanzate della nostra come Nord Europa e Stati Uniti. Mantenere un contatto, anche se temporaneo, con il mondo del lavoro aiuta a confrontarsi con la concretezza spesso aspra della realtà, a misurarsi con le difficoltà, le responsabilità e i ritmi peculiari del mondo delle aziende, che sono diversi da quelli della scuola, a capire come funziona la vita di un'impresa, ad arricchire il proprio curriculum e rendersi appetibili ad un futuro selezionatore del personale. Importante, nello sviluppo della personalità e della conoscenza del mondo del lavoro, potrebbero essere esperienze come il servizio civile o il volontariato, da svolgersi all'interno di organizzazioni sempre più strutturate, professionali e orientate al risultato come le migliori aziende.
Per chi decide di proseguire gli studi all'università un problema spinoso è rappresentato dalla scelta della facoltà. Il mondo del lavoro sembra prediligere i laureati in discipline scientifiche (le cosiddette STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics) o, al limite, le lauree in ambito sanitario, rispetto alle lauree umanistiche. Io credo, però, che, nella scelta degli studi universitari, conti soprattutto la passione personale, saper individuare precocemente quali sono i propri talenti specifici, i campi del sapere in cui si riesce meglio, quelli che ci entusiasmano, qual è, in una parola, forse eccessivamente solenne, la propria vocazione. Penso che studiare materie che non ci interessano e non ci coinvolgono profondamente sia dispendioso energeticamente e spesso controproducente nella pratica. Difficilmente diventeremo bravi in qualche campo che non ci attrae.
A proposito dell'annosa questione del rapporto
scuola-lavoro, io credo che, con equilibrio, la
scuola debba mantenere un solido aggancio col
mondo del lavoro. I tentativi di riforma degli
ultimi anni sono andati in questa direzione,
pensando di rispondere ad un bisogno espresso
dagli stessi cittadini e dalle famiglie. E,
anche in realtà più evolute della nostra, la
scuola tiene in gran conto gli sbocchi
occupazionali.
Se è vero che lo studio e la ricerca personali
danno un significato alla vita e possiedono una
loro intrinseca bellezza indipendentemente dalle
ricadute lavorative, è anche vero che
impegnativi e faticosi studi universitari
costituiscono un investimento economico e si
intraprendono, almeno in parte, per ambire a un posto
di lavoro migliore, ben retribuito, che
garantisca un'esistenza economicamente
soddisfacente e un posto di rilievo nella scala
sociale.
Per ottenere i benefici un tempo appannaggio di chi aveva ricevuto un'istruzione terziaria, penso, però, non sia più sufficiente conoscere a fondo la propria disciplina. L'odierno mondo del lavoro e la società contemporanea richiedono con sempre maggiore insistenza lo sviluppo delle cosiddette skill trasversali (denominate anche Skill Life): la capacità di risolvere problemi, una sviluppata etica del lavoro, il possesso di uno spirito critico e di un atteggiamento sperimentale che ci mantenga aperti al nuovo, la capacità di lavorare in team. Infine sarà bene che i ragazzi, i prossimi protagonisti del mondo futuro, sviluppino l'iniziativa personale, l'abilità di prendere decisioni giuste, l'intelligenza emotiva, l'empatia, la capacità di prendersi cura responsabilmente degli altri, la creatività, l'attitudine a ragionare in maniera sistemica, sintetica e non più soltanto analitica e concentrata sul dettaglio ristretto, la capacità di comunicare efficacemente, l'abilità ad automotivarsi, la gestione efficace dello stress, l'autocoscienza, ossia una buona conoscenza di sé, del proprio carattere, dei propri punti di forza e di debolezza.
Non escludo che, soggetto alle nuove esigenze e pressioni dell'individuo, della società e dell'economia, tutto il sistema educativo sarà costretto, nei prossimi decenni, ad un profondo ripensamento e ad una conseguente, necessaria, radicale revisione.