La schiavitù è l'assoggettamento totale di un essere umano a scopo di sfruttamento.
La schiavitù affonda le proprie radici già nel mondo antico. Gli Egizi si servirono degli schiavi per la costruzione delle piramidi. I Greci poterono dedicarsi al governo della polis e alle loro speculazioni filosofiche, prive di utilità immediata, perché disponevano, per svolgere l'usuale lavoro produttivo, di molta manodopera schiavizzata. I Romani impiegarono schiavi nei lavori agricoli, domestici e persino nell'educazione della prole.
Il Medioevo conobbe la servitù della gleba: asserviti al padrone, i servi
della gleba erano di sua proprietà e godevano di scarsi diritti e margini
di autonomia.
La servitù della gleba sopravvisse in Europa molto a lungo, in Russia fu
abolita addirittura soltanto nel 1861. E chi frequenta la grande
letteratura russa dell'Ottocento, si sarà imbattuto più volte in
personaggi e situazioni che richiamano questa vecchia istituzione.
Più di recente gli schiavi, importati dall'Africa dalle grandi potenze europee per essere trasferiti nelle colonie, venivano impiegati nelle piantagioni di cotone del Nuovo Mondo, e nella coltivazione del caffè in Brasile.
Persino il Novecento, secolo così vicino al nostro, conobbe forme di schiavismo particolarmente feroci, proprio nel cuore della civile Europa: i lager nazisti e i gulag sovietici impiegavano i loro ospiti in lavori forzati a beneficio delle rispettive economie nazionali.
In molte epoche storiche veniva spesso ridotto in schiavitù il prigioniero di
guerra, come attesta l'etimologia stessa della parola "schiavo",
dal greco medioevale "sklabós", che sta a significare appunto
"(prigioniero) slavo".
Come motivazione dell'asservimento di una persona umana sono state
addotte, nel susseguirsi delle epoche storiche, le più svariate
giustificazioni di carattere geografico, razziale, culturale, di classe e
persino religioso. In ogni caso lo schiavo era considerato un essere
inferiore che meritava la sua condizione.
Contrariamente a quanto supposto soltanto fino a pochi decenni or sono,
anche da eminenti economisti, il lavoro degli schiavi si è dimostrato nei
secoli persino più produttivo del cosiddetto lavoro salariato libero e le
più grandi civiltà hanno prosperato, come abbiamo visto, sul lavoro
forzato.
C'è dunque voluto uno sforzo di riflessione e di umanitarismo per arrivare
a concepire l'abolizione della schiavitù. È stato soltanto grazie
all'influsso delle idee illuministiche che lentamente mutò la
sensibilità collettiva, fino all'estensione dell'articolo 4 della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'Onu
all'unanimità nel 1948, in cui si afferma che "nessuno deve essere
tenuto in schiavitù o servitù: la schiavitù e il traffico degli schiavi
devono essere proibiti in tutte le loro forme".
Ma la schiavitù, legalmente abolita in tutte le regioni del globo, è
davvero sparita dall'orizzonte dell'evoluto mondo contemporaneo?
Purtroppo no. Anche se non si conosce ancora la dimensione precisa del
fenomeno, la schiavitù esiste ancora di fatto in varie zone del mondo.
Dalle prostitute thailandesi e nigeriane agli schiavi del Sudan e della
Mauritania, dai bambini soldato della Sierra Leone a quelli impiegati
nell'industria dei tappeti in India, Pakistan e Nepal, dalle domestiche
filippine immigrate nel Golfo Persico alla manodopera utilizzata nel
disboscamento della foresta amazzonica, ancora milioni di uomini, donne e
bambini vivono in condizioni di totale asservimento. Persino nelle
città europee. Fonti accreditate stimano in duecento milioni il numero di
esseri umani che ancora oggi sono in catene nei quattro angoli del globo.
Gli esperti riconoscono tre forme fondamentali di moderna schiavitù: la schiavitù sessuale, la schiavitù per debiti, il lavoro minorile.
L'economia globale, se ha arricchito alcuni paesi in via di sviluppo,
ha però determinato in molti contesti uno sfruttamento più razionale e
intensivo di uomini, donne e bambini. Oggi si punta alla massimizzazione
della produzione e dei profitti. Le merci e i grandi guadagni contano più
degli esseri umani e dei loro diritti.
Per tali motivi assistiamo da alcuni
decenni a forme di schiavismo se possibile ancora più brutali, rispetto a
quelle dei secoli passati, dove il padrone era spesso chiamato a
rispettare vincoli e responsabilità nei confronti delle persone
di sua proprietà. Il nuovo schiavismo tende invece a spremere le persone
per abbandonarle poi a se stesse, quando per età o intercorse malattie,
non sono più produttive.
Favorito dalla corruzione e dall'avidità di denaro, lo schiavismo contemporaneo si intreccia alle redditizie e illegali attività delle organizzazioni criminali e mafiose, gode spesso della protezione delle autorità locali e internazionali, fornisce prodotti persino a marchi commerciali famosi, che così lucrano sul lavoro forzato. E la responsabilità morale finisce per estendersi a tutti noi consumatori, che spesso godiamo dei benefici economici del lavoro schiavizzato, in termini di servizi e merci a prezzi vantaggiosi.
La nuova schiavitù si combatte attraverso l'attività di repressione delle forze di polizia, favorendo la denuncia degli abusi accertati e istituendo degli appositi organismi di indagine e di contrasto al traffico di esseri umani; progettando, approvando e applicando nuove norme giuridiche; utilizzando la preziosa opera delle varie associazioni umanitarie, in primo luogo, per esempio, sfruttando l'esperienza e l'attività meritoria di Anti-Slavery International, di Human Rights Watch e di Amnesty International.
Si combatte inoltre la schiavitù diffondendo il più possibile l'istruzione nelle aree geografiche a rischio e sostenendo sotto l'aspetto psicologico, legale ed economico le vittime, accompagnandole in un sovente difficile e prolungato cammino di superamento dei traumi subiti e di progressiva conquista della libertà e dell'indipendenza.
Ma soprattutto, le nuove schiavitù si combattono sconfiggendo l'indifferenza dell'uomo della strada, promuovendo cioè la sensibilizzazione dell'opinione pubblica verso la sofferenza di milioni di persone ancora colpite dalle più intollerabili forme di violenza fisica e psicologica e sviluppando la consapevolezza diffusa e la solidarietà del mondo ricco verso le vittime di commerci barbarici e umilianti, offensivi della dignità umana di tutti.
Riferimenti bibliografici:
Arlacchi, P., Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani, Milano, Rizzoli,
1999
Bales, K., I nuovi schiavi. La merce umana nell'economia
globale, Milano,
Feltrinelli, 2002