L'ozio

La civiltà capitalistica e occidentale si regge sul culto del lavoro. Fin da piccoli interiorizziamo il dovere di lavorare. Una simile etica borghese ha prodotto grandi risultati, riconosciuti persino da quel grande filosofo e critico del capitalismo che fu Karl Marx.

Da qualche decennio a questo parte, tuttavia, la spinta degli occidentali all'attività frenetica mostra delle crepe e delle contraddizioni. L'economia conosce crisi cicliche, sempre più gravi. Moltissime industrie chiudono e milioni di lavoratori rimangono disoccupati, con costi sociali, economici ma anche psicologici, altissimi. Paradossalmente gli Stati si trovano a dover pagare una moltitudine di persone perché non facciano assolutamente niente.
Un economista e acuto osservatore della nostra società come l'americano Jeremy Rikfin ha parlato, in una sua opera, di fine del lavoro.

Forse, come aveva profetizzato Bertrand Russell, se il mondo fosse meglio organizzato, sarebbe sufficiente che le persone lavorassero quattro ore al giorno. Invece, ovunque vediamo persone che si ammazzano di lavoro, mentre altre si angosciano di non trovarne. Tutti siamo prigionieri del perverso meccanismo lavoro-consumo. Produciamo e consumiamo sempre di più, ma senza gioia, in un circolo vizioso che sempre più spesso appare insensato.

Ecco, allora, che è venuto il momento di rivalutare il concetto di "ozio". "L'ozio è il padre dei vizi", recita un antico adagio, ma forse non è del tutto vero. Forse la salute dell'uomo contemporaneo, stressato dall'attività incessante e ripetitiva, è quella di ritrovare degli spazi personali, liberi dal lavoro.

Di riposare, di rallentare, di dedicarsi ad esplorare nuovi ambiti, nuove dimensioni, nuove discipline. La cura di sé dovrebbe soppiantare l'attivismo a ogni costo. La strada verso il benessere passa di qui: dalla riflessione, dall'introspezione, dalla possibilità di coltivare i rapporti sociali, da una ritrovata capacità di conversare con gli altri, da un altro modo di rapportarsi con i propri simili e con la natura.

Sgombriamo il campo da equivoci: lavorare, anche duramente, è spesso ancora necessario. Quello di cui dobbiamo liberarci è, invece, la schiavitù del lavoro, l'opinione per cui se non lavoriamo non siamo nessuno. Dobbiamo forse smetterla di identificarci totalmente con il lavoro che svolgiamo, capire che siamo qualcosa di più e di diverso.

Purtroppo il tempo libero dal lavoro, l'uomo contemporaneo lo trascorre nello stordimento dell'intrattenimento televisivo e delle droghe e nella superficialità delle vacanze, degli hobby  e dei weekend.

L'arte dell'ozio, così com'è nella tradizione a partire dai grandi pensatori antichi, non consiste nello starsene inerti e passivi, ma nella realizzazione personale, nel riappropriarci di noi stessi e del nostro tempo, nello sviluppare il nostro talento creativo, o, per dirla col filosofo Salvatore Natoli, nell''"esercizio di sapienza e virtù".

Riferimenti bibliografici:
De Masi, D., L'ozio creativo, Milano, Rizzoli, 2000
Hodgkinson, T., L'ozio come stile di vita, Milano, BUR Rizzoli, 2006
Marx, K., Engels, F., Il manifesto del partito comunista, Milano, Berlusconi, 1998
Natoli, S., Ozio in Dizionario dei vizi e delle virtù, Milano, Feltrinelli, 
Russell, B., Elogio dell'ozio, Milano, Longanesi, 2004
Torno, A., Le virtù dell'ozio, Milano, Mondadori, 2002

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Pagina aggiornata il 18.05.10
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