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La guerra
Nonostante la storia dell'uomo sia millenaria, l'umanità non sembra aver attraversato nessun periodo prolungato senza guerre. La guerra, con i suoi orrori e le sue crudeltà, sembra appartenere
al patrimonio genetico della specie umana. Eppure l'aspirazione alla pace fa ugualmente parte dei sogni dell'uomo, tanto che il massimo filosofo della modernità, Immanuel Kant, dedicò un volumetto importante allo studio delle condizioni che avrebbero condotto alla pace perpetua. Perché allora l'uomo vuole il bene e fa il male? Perché la storia umana è un succedersi ininterrotto di atrocità, un "immenso mattatoio", secondo la definizione datane da Hegel nella sua Filosofia della storia? Perché la guerra? Freud rispose a quest'ultima domanda affermando che nell'uomo c'è un'ineliminabile spinta aggressiva e distruttiva, che solo l'incessante processo di civilizzazione può tentare di tenere a bada. Di più. L'uomo, nel corso della storia, ha dimostrato di coltivare
un inquietante e irriducibile amore per la guerra. Basta leggere le
testimonianze, letterarie e non, provenienti dai vari fronti di
guerra, per rendersene conto. La guerra, questo "duello su vasta scala per costringere l'avversario a piegarsi alla propria volontà", come la definì Von Clausewitz, riconosce a mio avviso, numerose ragioni, di carattere biologico e psicologico, ma anche economico, culturale e religioso. Gli uomini entrano costantemente in conflitto, a causa di interessi e di visioni del mondo contrapposte e, almeno in apparenza, inconciliabili. È l'antagonismo che regge il mondo, ammoniva il filosofo greco Eraclito. L'antagonismo, la rivalità, il conflitto di opinioni e passioni contrapposte, fino a che è mantenuto nell'alveo della disputa e del confronto non violento, contribuisce al processo stesso della civilizzazione. Ma troppo spesso l'antagonismo sfocia nel contrasto violento e nella guerra. La guerra riconosce quasi sempre un meccanismo collaudato: un gruppo o una nazione si coalizzano contro un nemico esterno cui vengono attribuiti tutti i vizi e i difetti. Ci si purifica dei propri aspetti inaccettabili, uccidendo la vittima sacrificale. E, ritornando nell'ambito della psicologia, talora possono affacciarsi
alla ribalta della Storia, favoriti da un preciso contesto economico e
culturale, leader animati da una volontà di potenza distruttiva,
dalla personalità gravemente disturbata, capaci di convincere le
masse, tramite la propaganda, della giustezza dei loro propositi. E, spiace ammetterlo, per un imperscrutabile mistero della natura umana persino persone colte e capaci di affetto autentico nei confronti dei propri familiari e della cerchia degli amici, riescono a macchiarsi di crimini infami nei confronti dell'umanità, si lasciano sedurre dal fascino della violenza. È il caso, per esempio, di molti gerarchi nazisti, affabili nella quotidianità, che leggevano buoni libri e ascoltavano buona musica, capaci poi di pianificare freddamente lo sterminio di esseri umani innocenti. Alcune religioni, cosiddette monoteiste, come quella cristiana e musulmana, sembrano predisporre gli animi alla guerra. È il parere di autorevoli esperti, si leggano per esempio i libri dello psicologo americano, nonché studioso della cultura, James Hillman. Secondo Hillman, il monoteismo, unito a una interpretazione letterale dei testi sacri, favorisce una visione del mondo monoculare che sfocia, se non temperato, nell'intolleranza e nel fanatismo. La Storia è lì a testimoniarci degli orrendi massacri compiuti nei secoli nel nome di Dio. I pacifisti sostengono che la guerra è diventata ormai nella coscienza evoluta, uno strumento obsoleto nella risoluzione dei conflitti. E hanno sostanzialmente ragione. Purtroppo non riescono a dirci cosa dobbiamo fare, in concreto, se imperi o nazioni sono pronti ad annientarci senza pietà. E soprattutto, non è tacendo sugli aspetti oscuri della natura umana che si risolve il problema. Non è predicando un melenso e assai poco diffuso amore universale che si scacciano i fantasmi della guerra. "Fate l'amore e non la guerra", "Mettete dei fiori nei vostri cannoni" sono sono slogan ormai frusti, banali, che fanno sorridere. La speranza di tutti va riposta
nell'abilità della diplomazia, nella costruzione di una Società
delle Nazioni, giudice super partes, che abbia l'autorevolezza e la
forza di dirimere le contese in nome di leggi e di regole chiare,
stipulate in precedenza. Qualcosa che assomigli all'Onu di oggi, ma
riveduta e corretta, più giusta ed efficiente. Riferimenti bibliografici: |
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Pagina aggiornata il 07.06.05 |