Il giallo di Avetrana. Media e cronaca nera
La morte di una quindicenne, Sarah Scazzi, un'adolescente
come tante che conosciamo o incontriamo per strada, fragile, carina e con
ancora tutta una vita davanti, morte causata con tutta probabilità da
conflitti familiari dai contorni non ancora ben chiariti, ha colpito
profondamente l'emotività dell'opinione pubblica. L'attenzione che i
media hanno prestato alla vicenda, fin dai suoi primi sviluppi, dal
momento cioè della scomparsa della ragazza, sono andati di pari passo con
l'interesse del pubblico. E' stato via via un proliferare di servizi
giornalistici e televisivi, che hanno messo letteralmente sotto assedio
una famiglia e una cittadina, fino ad allora estranee al clamore mediatico,
in una rincorsa a chi strappava l'audience più alta. Contemporaneamente,
il portone del garage, presunto luogo del delitto, era meta quotidiana
di torme di "turisti dell'orrore".
Di fronte a tanto clamore, un po' volgare, i moralisti hanno protestato in nome del decoro, del rispetto della privacy, del corretto svolgimento delle indagini. Hanno criticato il giustizialismo per cui i processi si svolgono ormai in televisione e non nelle sedi più opportune e cioè i tribunali. Hanno stigmatizzato il metodo abietto del "sbatti il mostro in prima pagina", che in troppe occasioni ha finito per mettere alla gogna e distruggere l'esistenza di persone poi rivelatesi innocenti. Chi ha criticato il comportamento dei mezzi di comunicazione di massa, in questa e in analoghe circostanze, lo ha fatto con delle buoni ragioni. L'audience non può essere invocata per mostrare i particolari più truci, macabri e morbosi di una vicenda. Sappiamo tutti che l'audience serve alle varie testate giornalistiche e televisive principalmente per ottenere maggiori introiti pubblicitari; l'audience porta soldi, per cui potremmo amaramente concludere che, nella società contemporanea, si arriva a mercificare persino il crimine efferato. Non è vero poi che i media rappresentino la realtà esattamente qual
è. In verità, essi, selezionando le notizie e quanto spazio attribuire
loro, influenzano profondamente la nostra percezione del reale. In poche
parole, i media contribuiscono, in misura preponderante, nella società
odierna, alla costruzione della realtà. Nel caso dell'attenzione
spasmodica alla cronaca nera, i media ci fanno percepire di vivere in un
mondo più insicuro di quanto non sia veramente. Sull'impatto emotivo
dell'incertezza e dell'insicurezza sulla nostra mente, i media speculano
realizzando un profitto economico. Tuttavia, il metodo dell'audience impedisce la censura, risponde a criteri efficienti e corretti di concorrenza economica. Si tratta insomma di un modo imperfetto, ma democratico, per selezionare le trasmissioni che più vengono incontro ai desideri e ai bisogni del pubblico. Pubblico che non è manipolabile a piacimento, come spesso si afferma, ma che è esso stesso capace di influenzare le scelte dei media. Personalmente penso che il "giallo di Avetrana", così come prima i casi di Novi Ligure, Cogne, Erba, Garlasco, Perugia abbiano colpito genuinamente l'interesse della maggior parte di noi, proprio perché si tratta di delitti maturati non nell'ambito della criminalità più o meno organizzata, ma in contesti, almeno in apparenza, normali. In altre parole, ci hanno messo in contatto con la nostra "follia" quotidiana, con aspetti inquietanti del nostro io e del modo in cui viviamo e dei valori in cui crediamo. Quegli aspetti, percepiti dalla nostra psiche come spiacevoli e che tendiamo a non voler vedere, a ignorare, a negare, a rimuovere. Mi sembra che giornali e televisione assolvano, dunque, la funzione beneficamente catartica che sin dall'antichità svolgeva il teatro. Negli studi televisivi, anche in quelli dove vengono proposti imbarazzanti plastici dei luoghi del delitto, non c'è soltanto la compiaciuta rappresentazione della violenza, ma si cerca di imbastire un racconto, una narrazione, si cercano dei significati, intervengono gli esperti con le loro spiegazioni , si cerca di fornire al pubblico, insomma, oltre alle informazioni complete, un orientamento che attenui il suo stato di insicurezza e di paura. D'altro canto, la democrazia si fonda sulla pubblica discussione, sulla trasparenza, sul crollo di quei veli di finzione e di mistificazione che sono così funzionali e utili al potere. Anche in quest'ultima occasione, il pubblico ha potuto rendersi conto, per esempio, della fallibilità degli esperti stessi, le cui ondivaghe opinioni mutavano con cadenza quasi quotidiana, e ce ne ha mostrato oltre alla fallibilità, sovente anche le debolezze e i vizi umani, la vanità e la voglia di fama, successo e denaro. La loro autorità ne è uscita ridimensionata e secolarizzata, così come deve essere in una società laica, aperta e libera. Attraverso la pubblica discussione i cittadini si fanno una loro opinione e maturano. E non dimentichiamo che soltanto le società libere e democratiche permettono la rappresentazione della violenza. I regimi dittatoriali si servono sempre della censura per mantenersi al potere. Concludendo, l'attenzione degli italiani per la cronaca nera, suffragata anche dal grande successo che sta riscuotendo nel nostro Paese la narrativa noir, nasconde a mio avviso in realtà una attenzione ai nostri moventi interni e a come stiamo cambiando mentalità e costumi nel corso degli anni. Il giallo di Avetrana, così come gli ormai quotidiani omicidi delle donne per mano di mariti e fidanzati, ci dimostra, per esempio, un'inquietante tendenza della società italiana, ossia, come ha sottolineato il giornalista e scrittore Giorgio Bocca, in un suo articolo sul settimanale L'espresso, l'incapacità di "risolvere i suoi conflitti e le sue contraddizioni se non alla maniera barbara di levar di mezzo gli avversari e i contraddittori". Perciò non è per mere pulsioni voyeuristiche, se rimaniamo incollati per ore, talvolta fino a tarda notte, allo schermo televisivo. Ma è per scoprire la verità. Riferimenti bibliografici:
|
| home
|
| temi |
|
Pagina aggiornata il 14.11.10 |