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L'importanza della cultura umanistica

L'allarmante crisi dell'occupazione giovanile spinge molti esperti a consigliare ai giovani che si affacciano alle scuole superiori e all'università lo studio delle materie tecnico-scientifiche. Si tratta di saperi severi e rigorosi e, nello stesso tempo, pratici e spendibili più facilmente sul mercato del lavoro. Garantiscono insomma maggiori chance di occupazione e un reddito adeguato all'investimento fatto in termini di denaro ed energie. Si tratta, in poche parole, di studi che sembrano garantire profitto e successo.

Oppure, quegli stessi esperti, consigliano ai giovani di abbandonare al più presto la scuola per imparare uno di quei mestieri che sembrano ancora molto richiesti dal mercato: il panettiere, l'idraulico, il falegname, l'elettricista, il pizzaiolo, il giardiniere, l'assistente a domicilio di persone anziane.

I media, dal canto loro, propongono, come modelli da imitare, carriere di successo costruite certamente non sullo studio o sullo sforzo personale, ma sulla fortuna, l'apparire, l'intrattenimento superficiale, il divertimento sguaiato, le giuste frequentazioni. Come direbbe il filosofo Noam Chomsky,  televisione, giornali e nuovi media ci fanno credere che "è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti".

In un mondo di questo tipo sembra esserci poco spazio per la cultura umanistica, per lo studio e l'approfondimento delle letteratura, delle arti, della storia, della filosofia, della musica. Ma è davvero così?

Forse no. Forse la cultura umanistica, anche nella nostra società utilitarista e orientata al profitto, svolge ancora una sua funzione insostituibile. Anzi, almeno due funzioni, come ci ricorda la filosofa statunitense Martha Nussbaum: quella dell'educazione a una cittadinanza democratica e quella di stimolo alla creatività.

Come si può, infatti, capire noi stessi e la realtà che ci circonda, partecipare attivamente alla vita pubblica, all'amministrazione e al governo della città, se si ignorano la storia, la letteratura e la cultura del proprio Paese? Come ci si può dichiarare cittadini del mondo, se non si conoscono, almeno a livello rudimentale, storia, letteratura e lingua dei nostri vicini, in un mondo sempre più globalizzato e teso all'integrazione? Quali profondità di pensiero e di consapevolezza si possono raggiungere se non si ha una qualche dimestichezza con i metodi della filosofia? Quale gusto e senso estetico si possono sviluppare se si trascurano le arti e la musica?

Soprattutto, nelle nostre società, sempre più soggette a cambiamenti repentini e radicali, a tentazioni demagogiche e populiste, così inclini a subire il fascino di totalitarismi, fanatismi e mistificazioni di ogni tipo, con i diritti minacciati da ogni dove e con un divario sempre più accentuato fra ricchi e poveri, cosa è più necessario alla nostra salvezza, fisica e mentale, dello spirito critico? Uno spirito critico e una mente flessibile che soltanto la cultura umanistica può così bene radicare nelle menti di ciascuno di noi. Senza capacità di critica da parte dei cittadini, una attitudine che nasce dalla abilità di pensare in maniera articolata e profonda, le democrazie sono in pericolo.

Anche dal punto di vista meramente economico, non è vero che lo studio delle materie umanistiche sia inutile. Per esempio lo studio del latino: faceva notare il professor Tullio De Mauro, come la lingua internazionale, per eccellenza, degli scambi economici, l'inglese, usi per il 70 percento vocaboli di origine latina.
Ma va sottolineato soprattutto altro.
Viviamo nella società della conoscenza, dove sono le conoscenze stesse che costituiscono lo stimolo decisivo della creatività e della produzione industriale stessa. Il made in Italy, per esempio, di cui andiamo tanto fieri, quella produzione industriale e quell'artigianato caratterizzati da buon gusto, originalità e lavoro ben fatto, deve molto, direttamente e indirettamente, alla nostra grande tradizione culturale e artistica.

La cultura umanistica, così trascurata negli ultimi decenni da una classe politica miope e antiquata, influenza la nostra economia. Un economista ha recentemente quantificato nel 15% del Pil tale influenza.

Sono sempre più numerose, inoltre, le aziende che selezionano nel loro management laureati in lettere e filosofia. La loro flessibilità, la capacità di lavorare in team, lo sviluppo dell'intelligenza emotiva oltre che di quella razionale, rendono infatti i cultori delle discipline umanistiche appetibili e adatti ad affrontare le sfide generate da mercati instabili e turbolenti. Persino i governi si avvalgono spesso del contributo decisivo degli umanisti: è laureato in lettere Carlo Azeglio Ciampi, raffinato e competente economista, indimenticato Presidente del Consiglio prima e Presidente della Repubblica poi. Era scrittore e drammaturgo Vaclav Havel, presidente della neonata Repubblica Ceca.

La creatività, qualità sempre più apprezzata e ricercata dalle industrie di tutto il mondo, perché capace di ideare e  progettare prodotti innovativi, individuando i nuovi bisogni delle persone, si alimenta di un sapere vasto, che va oltre i rigidi specialismi e che sa invece collegare ambiti e discipline diverse. Sembra che, in questo senso, la cultura umanistica conferisca un sensibile vantaggio competitivo sulle altre "culture".

Non si tratta, comunque, di contrapporre il sapere umanistico a quello scientifico. La cultura delle persone si nutre di entrambi. Fino all'età di Galilei, anzi, grande scienziato e grande scrittore, le due culture non erano ancora entità ben separate e, a guardarci bene, non lo sono forse nemmeno oggi. Il sapere tecnico, scientifico e umanistico, persino quello pratico, confluiscono tutti in un unico sapere, nella cultura dell'Uomo.

Non abbiamo perciò remore a intraprendere studi umanistici se questi sono in linea con le nostre aspirazioni, le nostre preferenze e le nostre passioni. Oggi più che un sapere codificato, valido per sempre, serve una mente elastica, flessibile, una "testa ben fatta" per usare un'espressione di Edgar Morin, che abbia imparato ad apprendere per tutto il resto della vita. Quando si è "imparato ad imparare", il sapere pratico e settoriale viene acquisito senza difficoltà.

Riferimenti bibliografici:

Erspamerr, F., "Per una nuova cultura umanistica", Il Sole 24 ore, 14 novembre 2012
Lodoli, M., "Addio cultura umanista. Per i ragazzi non ha senso", la Repubblica, 31 ottobre 2012
Morin, E., La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina, 2000
Nussbaum, M.C., Coltivare l'umanità. I classici, il multiculturalismo, l'educazione contemporanea, Roma, Carocci,  2006
Nussbaum, M.C., Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino, 2011
Sacco, P.L., "Le industrie culturali e creative e l'Italia: una potenzialità inespressa su cui scommettere", Il Sole 24 ore
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