La crisi dei partiti politici
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Le ultime elezioni politiche italiane hanno
evidenziato alcuni chiari segnali di crisi dei
partiti politici. I cittadini hanno confermato
la propria insoddisfazione per la politica,
disertando le urne, mentre i partiti
"tradizionali" hanno subito un'emorragia di
milioni di voti che sono andati a nuovi soggetti
politici e a nuovi movimenti. A riprova della crisi ormai cronica che stanno vivendo i partiti, ricordiamo il numero elevato di sedi periferiche chiuse e il ridimensionamento del numero dei funzionari, ma soprattutto il fatto che dei partiti che facevano parte del parlamento fino agli inizi degli anni Novanta e che si richiamavano a ideologie contrapposte, ma forti, non è rimasta praticamente più traccia. La storia dei partiti politici ha radici lontane. Già
dall'antichità esisteva una divisione per
"parti" (aristocratici e democratici, patrizi e
plebei, guelfi e ghibellini), ma si può parlare
di partiti politici veri e propri soltanto con
l'affermazione dei parlamenti nazionali e della
borghesia, quindi non prima della rivoluzione
francese. Ed è proprio tra il finire dell'Ottocento e l'inizio del Novecento che si costituisce una scienza politica capace di investigare i lineamenti fondamentali della classe politica espressa dai partiti. Nel 1896 Gaetano Mosca pubblica Elementi di scienza politica, nel 1916 Vilfredo Pareto licenzia il Trattato di sociologia generale, in cui illustra la famosa teoria della circolazione delle elite, mentre La politica come professione di Max Weber, sulla burocratizzazione e specializzazione della politica, esce nel 1919. Si tratta di testi ancor oggi basilari per capire il funzionamento della vita pubblica moderna. Ma è Roberto Michels, con il suo La sociologia del partito politico nella democrazia moderna (la prima edizione in lingua tedesca è del 1911), ad indagare la struttura del partito politico nella stagione del suo apogeo. Studiando il partito socialista come prototipo del partito di massa, Michels giunse a teorizzare l'inevitabile egemonia degli apparati sulle masse e delle elite dirigenti sugli apparati, a discapito della democrazia. Il partito politico novecentesco, dunque, è
un'organizzazione monolitica, gerarchica e
burocratizzata, dominata da una elite. Essa si
occupa in toto dei propri iscritti e
simpatizzanti e fornisce loro non soltanto una
visione del mondo, ma ne organizza il tempo
libero e ne orienta gusti e letture. I partiti
organizzano direttamente circoli ricreativi,
case editrici, feste, persino servizi d'ordine
deputati alla sicurezza. "La democrazia moderna si trasformerà infallibilmente in una democrazia burocratizzata", profetizza sempre Max Weber. Ed in effetti, per circa un secolo, l'organizzazione gerarchica e burocratica dei partiti sembra rispondere adeguatamente ai bisogni di una società di massa che si avvia verso il trionfo della tecnica, ma che è ancora estranea alla scolarizzazione elevata e diffusa. Un'organizzazione capace di assimilare al meglio al suo interno milioni di individui, anche quelli meno istruiti. Oggi, la classe politica espressa dai partiti viene avvertita, invece, dalla maggioranza dei cittadini, e non solo in Italia, come incompetente, inefficace, corrotta, portatrice di privilegi ingiustificati. Le elite politiche sembrano vivere in un mondo dorato, fatto di consumi e stili di vita dispendiosi, estraneo alla vita quotidiana delle persone comuni. Non a caso, in Italia, per definire la classe politica, si usa il termine "casta" e si definisce "partitocrazia" la degenerazione che vede i partiti occupare i gangli vitali dell'economia e delle istituzioni. È possibile che la crisi di
fiducia dei cittadini nella politica
tradizionale nasca da un mutato ordine sociale.
Il nostro è il tempo della cosiddetta "modernità
liquida" e delle organizzazioni snelle,
orizzontali, fluide. Al fordismo e alla catena
di montaggio sono succeduti il toyotismo, il
lavoro di squadra e le organizzazioni a rete,
che richiedono maggiore iniziativa individuale,
creatività, partecipazione . Il declino della forma partito ha lasciato oggi spazio a nuovi populismi e plebiscitarismi, alimentati da personalità magnetiche, ma di dubbia competenza. Altrimenti, come rimedio alla cattiva politica, si propone oggi il governo dei tecnici, il governo dei giudici, la democrazia diretta da esercitare tramite internet. Qualche studioso arriva a
riconoscere una trasformazione profonda della
forma partito, ma nega la crisi. Anzi, secondo
taluni, i partiti si stanno soltanto
riorganizzando per occupare più efficientemente
gli spazi del potere. Di certo la politica odierna genera un'insoddisfazione generalizzata, che sta diventando ogni giorno più acuta, specialmente in Italia. Le risposte praticabili stanno, a mio avviso, in una serie di riforme che rendano più efficiente e meno oneroso dal punto di vista economico l'operato dei nostri rappresentanti. Alcuni politologi hanno indicato nella riforma costituzionale, nel contenimento dei costi della politica (riduzione degli emolumenti elargiti ai politici e ai manager da loro nominati), nella riforma elettorale, nella riduzione del numero dei parlamentari, nell'istituzione delle elezioni primarie per scegliere i leader di partito, nella riduzione del finanziamento pubblico, nella maggiore trasparenza dei bilanci, nella risoluzione di possibili conflitti d'interesse, nella riduzione del numero di mandati parlamentari delle soluzioni che renderebbero la politica più efficace, trasparente e gradita ai cittadini. Riferimenti bibliografici:
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Pagina aggiornata il 01.05.13 |