L'8 novembre si sono tenute le elezioni presidenziali americane, che hanno decretato Donald Trump nuovo Presidente degli Stati Uniti. Il vincitore succede al popolarissimo Barack Obama e si è insediato ufficialmente alla Casa Bianca il 20 gennaio 2017.

Nato a New York nel 1946, Donald Trump è un personaggio molto conosciuto negli Stati Uniti. Figlio di un austero e facoltoso costruttore edile, Trump ha continuato dapprima l'attività del padre per poi cimentarsi in svariati settori del mondo degli affari, dai resort agli aerei, dai ristoranti alle linee di abbigliamento, dallo sport al gioco d'azzardo. Negli anni Duemila ha condotto un fortunatissimo reality show televisivo, The Apprentice, seguito da decine di milioni di americani.

Molto spesso il suo volto è comparso sulla copertina delle riviste patinate di tutto il mondo. Trump non proviene quindi dalla politica e nemmeno dal mondo accademico, sebbene vanti una laurea in Economia e Finanza, conseguita in una prestigiosa università, ma è una celebrità dello show business. E' un magnate, un uomo ricchissimo, sempre accompagnato da una schiera di belle donne, che ha basato il proprio successo, oltre che sull'abilità negli affari, sulla capacità di destreggiarsi con insuperabile sagacia nel mondo del jet-set, dei media, della "società dello spettacolo" in generale. Il nome" Trump" rappresenta in America, più che un determinato settore dell'economia produttiva, un brand, un marchio personale molto ricercato. Per dire, esistono nel mondo 114 edifici, i cui proprietari hanno pagato laute cifre soltanto per esibire  l'insegna "Trump" senza che Donald abbia minimamente partecipato alla loro costruzione.

Figura controversa e contraddittoria, Donald Trump è descritto dai detrattori come un uomo spregiudicato, privo di scrupoli, arrogante, misogino, razzista, in alcune occasioni persino volgare. Un Narciso alle perenne ricerca del successo per il successo, bisognoso di continue conferme per compensare la propria insicurezza di base. In più ama circondarsi di consulenti ancora più spregiudicati di lui.

Di certo, quando ha intrapreso la lunga cavalcata elettorale che lo ha portato alla Presidenza della Nazione più avanzata e potente del mondo, in pochi avrebbero scommesso su di lui. Era un outsider poco aduso ai giochi della politica, ma è risultato il vincitore. Abituato nelle proprie iniziative economiche a soddisfare i desideri della gente, Trump ha indubbiamente intercettato le esigenze inconfessate di una massa consistente di americani, che lo hanno votato.

Un maggioranza silenziosa, che vive ancora sulla propria pelle una delle crisi economiche più dure della storia del capitalismo occidentale, che ha visto il tramonto del lavoro stabile e ben retribuito e che ha perso la speranza di migliorare la propria condizione di vita; la prima generazione che ha visto il proprio tenore di vita inferiore a quello dei propri genitori. Persone che magari sono disoccupate e che si sentono minacciate, sul mercato del lavoro, dalla concorrenza  a basso costo di manodopera immigrata. Gente che sperava che le elite al potere, i Bush, i Clinton, gli Obama, l'avrebbero traghettata in un futuro migliore, mentre al contrario si sono impelagati in guerre finanziariamente dispendiose, che hanno attirato sugli americani l'odio di intere comunità, alimentando il terrorismo e rendendo più insicuro e più povero il Paese.

Gli americani si sono sentiti traditi dalle elite liberali, cosmopolite e globaliste al potere e dai loro ideologi, provenienti quasi tutti dalle esclusive università della cosiddetta Ivy League. Per questo hanno preferito alla "politicamente corretta" Hillary Clinton, che l'elite di potere rappresentava nelle ultime elezioni presidenziali, quel signore dal ciuffo biondo svolazzante, che astutamente, sebbene abbia un'istruzione di alto livello, si presenta come un anti-intellettuale pragmatico, diffidente nei confronti della teoria e dei concetti astratti , uno che parla a braccio, in modo diretto e talvolta persino troppo colorito, e che sembra estraneo alle ideologie alla moda.

Trump parla semplice e ricorre a battute salaci, quelle che piacciono alla working-class americana, ai colletti blu, a chi non ha frequentato le scuole superiori, quelle che si possono ascoltare anche ai tavoli di un pub, pronunciate magari davanti a un boccale di birra. Trump dice apertamente quello che molta gente si azzarda solo timidamente a pensare, dice tutto e il contrario di tutto, si contraddice, ma non si scusa per le sue incoerenze, perché lui è disinteressato alle ideologie. Si presenta come un uomo di successo nella terra che ha fatto del successo il fine supremo dell'esistenza. Si definisce" un uomo che si è fatto da solo" (ma non è vero, è stato aiutato, e molto, dal ricco padre), in una Nazione che ha fatto del self-made-man il proprio simbolo. È un sostenitore del "pensare positivo" (positive thinking), nel contesto di un popolo che ha superato crisi e difficoltà proprio grazie ad un vitale ottimismo e una sconfinata fiducia nelle proprie possibilità.
Soprattutto, è come se comunicasse a gente frustrata, impaurita e stanca il messaggio: "Guardatemi, io sono ricco e farò di voi altrettante persone ricche". A loro promette la protezione delle industrie, dei prodotti e dei lavoratori americani dalle insidie della competizione del libero mercato.

Per trovare ulteriori spiegazioni alla vittoria di Trump, si deve ricordare inoltre che una parte dell'elettorato americano tiene molto all'identità della Nazione. Ha radicato, dentro di sé, il concetto di patria. Pur abitando la terra dell'immigrazione per antonomasia, nei secoli gli americani hanno saputo costruire una propria identità precisa, fatta di riti, miti e tradizioni consolidate, e intendono rinsaldarla. Parte degli stessi immigrati integrati nella cultura americana (per esempio gli ispanici), non gradiscono nuovi arrivi di persone talvolta portatrici di riferimenti culturali o religiosi a loro estranei. Trump ha loro promesso la lotta contro l'immigrazione clandestina, un ban (bando) futuro per i musulmani e la costruzione di un muro ai confini con il Messico.
Molti poi, anche tra i ceti più ricchi e scolarizzati, sono stanchi delle guerre intraprese dal Governo "per esportare la democrazia" e quindi considerano musica per le proprie orecchie le promesse di Trump circa un nuovo isolazionismo degli USA e un minor impegno degli americani nella Nato.

Personaggio imprevedibile e sopra le righe, Trump è ora atteso alla prova dei fatti. La circostanza che sia un maestro nella conduzione degli affari ( ha scritto sull'argomento un fortunato best seller) e che sia a capo di un impero economico, non significa che egli sia in grado di agire proficuamente per il bene dello Stato. Dirigere uno Stato e dirigere un'azienda non sono la stessa cosa e richiedono abilità e competenze diverse, come ha sottolineato in un suo saggio l'eminente economista Paul Krugman.

Intanto i politologi stanno già tentando di indovinare quale sarà lo scenario internazionale futuro, che scaturirà della politica di Trump. Si parla di un'Europa che dovrà rafforzare la sua forza militare e la sua influenza politica in Africa, di maggiori tensioni tra USA e Cina, di una accresciuta collaborazione tra Russia e Stati uniti, di un impegno più accentuato del Giappone nel Sud Est asiatico e di un'Australia che finirà nella sfera di influenza della Cina.

Nel frattempo tutti noi seguiamo con curiosità e apprensione le mosse del nuovo Presidente, sapendo quali gravi responsabilità abbia, non ultima la possibilità di schiacciare il pulsante di una guerra nucleare. L'uomo è intelligente e confidiamo che le esuberanze della campagna elettorale lascino il posto alla moderazione e alla saggezza che il nuovo ruolo richiede. Inoltre siamo certi che si circonderà di consiglieri capaci ed equilibrati, che non mancano di certo in una Nazione così  grande. Non ultimo, in una democrazia avanzata come gli Stati Uniti, lascia ben sperare l'esistenza di poteri e istituzioni, come il Congresso ad esempio, che da sempre bilanciano efficacemente il potere del Presidente.

Riferimenti bibliografici:

Ferraresi, M. La febbre di Trump. Un fenomeno americano, Venezia, Marsilio, 2016
Krugman, P. Un Paese non è un'azienda, Milano, Garzanti, 2015
Trump, D.J., Zanker, B. Pensa in grande e manda tutti al diavolo, Milano, Rizzoli Etas, 2010