L'Occidente ha sviluppato un genere di vita basato sull'attività, sull'azione, sul dinamismo. La nostra vita quotidiana è diventata, per la maggioranza delle persone, un inarrestabile susseguirsi di impegni, un dibattersi senza sosta, un avvicendarsi frenetico di attività che lasciano poco spazio alla riflessione disinteressata. Forse il successo economico della civiltà occidentale si è basato proprio su questa esuberanza, sul rapporto aperto, febbrile e avventuroso con la vita, gli altri, gli oggetti e lo spazio.
Possiamo definire "estroverso" questo modo di "essere nel mondo", per usare una espressione dal vago sapore esistenzialista. Ma lo stile estroverso non è il solo modo con cui gli esseri umani si mettono in relazione con l'esistenza. Esistono altri stili di vita, più raccolti, più riflessivi, più schivi. Sicuramente meno spettacolari e chiassosi, ma non per questo meno soddisfacenti.
Eppure tendiamo a guardare con sospetto chi non incarna l'ideale occidentale di vita attiva. Chi preferisce la solitudine alla socialità. Chi non afferma con decisione la propria personalità all'interno di un gruppo. Chi se ne sta in disparte e parla poco e non smania di prevalere e di attirare l'attenzione su di sé.
Di questo diverso modo di rapportarsi alla vita spesso se ne occupa la psicologia, nella sua presunta, positivistica oggettività scientifica, coniando etichette che evocano, con sfumature diverse, lo psicopatologico : "introversione", "timidezza", paura degli altri", fobia sociale".
Fioriscono allora discorsi, libri, tecniche, trattamenti per guarire da quella che viene considerata una urtante diversità, un'eresia in qualche modo, se non da perseguire, almeno da redimere. Si insegna al timido e all'introverso ad essere assertivi, a parlare in pubblico, ad affrontare con piglio più deciso la vita sociale, ad affermarsi in mezzo agli altri.
È sempre difficile, forse addirittura sbagliato,
generalizzare. Ciascuno di noi nasce con un proprio corredo
genetico e un temperamento che sfugge alle classificazioni
nette, che mischia elementi diversi e ciascuno di noi incontra poi, nell'interazione
con l'ambiente, difficoltà peculiari e quantitativamente
e qualitativamente diverse durante tutta
la propria esistenza. Ognuno di noi è, insomma, un essere unico ed irripetibile, in cui elementi di
introversione ed estroversione si mischiano secondo combinazioni
imprevedibili.
>Non discuto nemmeno che molti dei discorsi e tecniche terapeutiche,
indirizzati ad aiutare il timido a vincere le proprie difficoltà abbiano
davvero un impatto positivo sulla vita di molte persone, liberino molti
da ansie, paure, impedimenti, contribuiscano a rendere effettivamente
la vita degli altri qualitativamente migliore.
Il sospetto è che però, in tal modo, si tenda tuttavia a distruggere modi di essere, approcci all'esistenza, differenti, ma non meno validi dello stile di vita estroverso.
Perché la vita sociale proceda armoniosamente forse abbiamo sì bisogno di persone che agiscano, ma anche di persone che riflettano; di uomini e donne che si esprimano in maniera diretta ed immediata, ma anche di individui che meditino a lungo sui problemi prima di parlare; di soggetti avventurosi ed intraprendenti, ma anche di persone che valutino i rischi di ciascuna impresa; di amici e compagnie che ci facciano ridere e dimenticare i nostri problemi, ma anche del singolo amico che sappia ascoltarci con sincero interesse ed empatia, senza giudicarci. Abbiamo indubbiamente necessità di capi che ci indichino la strada da seguire, ma anche di leader affidabili e responsabili che sappiano valorizzare le qualità, la creatività e l'autonomia di ciascuno; ci servono uomini d'affari spregiudicati ed abili, ma anche artisti e scrittori, che sappiano raccontarci le profondità e le contraddizioni dell'esistenza.
Insomma la persona timida che arrossisce facilmente, parla poco ed è un
po' allergica alle allegre brigate potrebbe rivelare più
qualità di quelle che abitualmente siamo disposti a concederle.
L'autenticità, la gentilezza, il rispetto e la tolleranza
verso gli altri valgono senz'altro più che la socievolezza
incondizionata, superficiale e chiacchierona.
Forse è vero il paradosso enunciato dallo scrittore francese Emile Cioran: "La
timidezza, fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, è la
causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore".
(tema svolto da n.l.)
Riferimenti bibliografici:
Axia,G., La timidezza, Bologna, Il Mulino, 1999Cain, S. Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare, Milano, Bompiani, 2012
Demetrio, D. La vita schiva. Il sentimento e le virtù della timidezza, Milano, Cortina ed., 2007
Jung, C.G. Tipi psicologici, Roma, Newton Compton, 2010
>Meazzini, P. Timido non più, Firenze, Giunti, 2005