Sono normale? È una domanda che, con qualche apprensione, prima o poi ci facciamo tutti, quando veniamo in contatto col mondo esterno, da bambini e adolescenti quando interagiamo con amichetti, compagni di scuola e insegnanti, più tardi sul lavoro, quando incontriamo qualche difficoltà di inserimento e nelle relazioni romantiche quando ci misuriamo coi diversi partner e con le inevitabili diversità di temperamento e carattere.

Mentalmente tutti ci costruiamo degli standard di riferimento, delle unità di misura e facciamo paragoni e confronti, talvolta dettati da pregiudizi, idee superate e costrutti personali fallaci.
La domanda "Sono normale?" rappresenta dunque un interrogativo talvolta angoscioso, complesso e in continua evoluzione. La ricerca della normalità è una ricerca intrinseca all'essere umano, ma le risposte a questa domanda sono state plasmate nel corso dei secoli da fattori culturali, sociali e scientifici.

Sorprendentemente la nozione di "normalità", come la intendiamo oggi, ha origini recenti, che risalgono infatti soltanto a due secoli fa. La sua genesi può essere attribuita a Giuseppe Piazzi (1746-1826) e al suo lavoro in astronomia, perfezionato in seguito dal matematico Gauss. Carl Friedrich Gauss (1777-1855) elaborò un nuovo metodo per il calcolo delle orbite, basato sulla distribuzione normale, noto come "curva a campana". Fu un'innovazione fondamentale in campo statistico, poiché la "curva di Gauss" venne presto impiegata per descrivere la distribuzione di molte variabili casuali, come l'altezza, il peso o il tempo di reazione. Nel nuovo contesto, "normale" significava "nella media" o "corretto".

Inopinatamente la trasposizione del concetto di normalità dall'astronomia al campo degli studi umani implicò fatalmente che il "non normale" fosse considerato un errore, non dell'astronomo, ma della natura stessa. Questo concetto scientifico influenzò l'evoluzione delle definizioni di normalità nell'ambito medico e sociale.

La "scienza della normalità" divenne una realtà con l'opera di Adolphe Quetelet (1796-1874), che introdusse l'idea dell'"uomo medio" come rappresentazione autentica dell'umanità. Il concetto legò normalità e mediocrità, stabilendo che chi si discostava dalla media poteva essere considerato "cattivo" o "deviante". Nel contesto medico, il “non normale” divenne “patologico”.

Queste definizioni scientifiche hanno avuto un profondo impatto sulla società, con la creazione di standard e norme che ancora oggi influenzano il nostro modo di pensare e giudicare. L'eugenetica, promossa da studiosi come Francis Galton (1822-1911), incoraggiò l'idea che alcuni gruppi fossero "adatti" a riprodursi e altri "non adatti".

Tuttavia, la storia ci insegna che il concetto di normalità è fluido e mutevole. Le nostre idee sulla normalità oscillano tra il desiderio di individualità e il bisogno di accettazione sociale. Questa complessità ci invita a interrogarci sulle aspettative e sui preconcetti radicati nelle nostre istituzioni, leggi, politiche e interazioni sociali.

Costruito prendendo a modello individui appartenenti alle società occidentali istruite, industrializzate, ricche e democratiche (altrimenti dette WEIRD, acronimo per Western, Educated, Industrialised, Rich, Democratic), modellato negli ultimi due secoli dalla scienza europea e nordamericana e da discipline importanti come medicina, fisiologia, psicologia, sociologia, criminologia e statistica, bisogna riconoscere che spesso il concetto di normalità si è tradotto non di rado in pretesto di violenze, genocidi, persecuzioni, discriminazioni di genere, e ha condotto ad episodi inquietanti di razzismo, omo e transfobia e oppressione ed esclusione di persone con disabilità.

Ancor oggi molte condizioni e comportamenti che fanno parte della variabilità umana ricevono da fonti scientifiche accreditate lo stigma di anormalità. Di recente, per esempio, molti psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti e neuroscienziati hanno criticato aspramente il DSM 5, considerato la bibbia della psichiatria, per la sua rigidità diagnostica, che induce a medicalizzare e patologizzare anche persone con una sintomatologia dubbia o poco significativa.

In conclusione, la storia della normalità dimostra quanto sia complessa tale nozione e come sia stato plasmata da fattori culturali e sociali nel corso della storia. La definizione di normalità è personale e politica, e interrogarci su chi decide cosa sia normale è essenziale per comprendere appieno questo concetto in continua evoluzione.

Riferimenti bibliografici:
S, Chaney, Sono normale? Due secoli di ricerca ossessiva della “norma”, Torino, Bollati Boringhieri, 2023