Il PIL (prodotto interno lordo) è il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno da un dato Paese. E, poiché l'economia domina da alcuni decenni le nostre vite, tale termine viene evocato con grande frequenza in qualsiasi discussione pubblica, sui giornali, nei talk show televisivi dedicati al dibattito politico, nei forum di discussione e nei commenti dei lettori delle testate online su Internet.

Abbiamo imparato che dalle variazioni del PIL dipendono le nostre vite: se il governo avrà soldi per ridurre il debito pubblico, per finanziare scuola, sanità e pensioni, se ci sarà una ripresa dell'occupazione, se i nostri risparmi saranno al sicuro e così via.

Tuttavia, sempre più di frequente si avverte, almeno presso una certa avanguardia di economisti, di intellettuali, di opinionisti,o semplicemente di persone bene informate una certa insoddisfazione verso questo strumento di valutazione dell'economia di un Paese o di un'intera area geografica.

Il PIL appare ormai a molti una misura molto grossolana, un termometro tutt'altro che preciso ed attendibile. Una grandezza che misura tutt'al più la quantità, ma non la qualità.

Come fece con forza notare il senatore Robert Kennedy, nel suo discorso del marzo 1968, qualche mese prima di essere assassinato, vanno ad arricchire il PIL, direttamente o indirettamente, anche attività criminali, l'inquinamento, la vendita di armamenti e di sostanze tossiche o nocive

Niente ci dice invece il PIL circa le diseguaglianze sociali, le condizioni dei lavoratori, la disponibilità di tempo libero e la felicità di un popolo.

Ideato negli anni Trenta, nel pieno della Grande Depressione, il PIL destava qualche perplessità presso il suo stesso inventore, Simon Kuznets, che proprio grazie allo strumento di misura da lui ideato, fu insignito del premio Nobel. Egli affermò che difficilmente il benessere di una nazione poteva essere dedotto dalla misura del suo PIL.

L'insoddisfazione per il PIL ha ormai raggiunto anche i grandi della Terra, i capi di Governo dei Paesi più sviluppati. Nel 2008 il premier francese Sarkosy ha istituito una commissione composta da eminenti economisti, tra cui i premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, per stabilire se il Prodotto Interno Lordo è ancora un indicatore attendibile del progresso economico e sociale. La conclusione è stata che no, non è un indicatore attendibile del reale avanzamento di un Paese.

Da decenni sono numerosi gli studiosi che stanno perfezionando degli strumenti di valutazione dell'economie nazionali alternativi e più veritieri. Alcuni sono già pronti, come l'Index of Sustainable  Economic Welfare (ISEW), il Genuine Progress Indicator (GPI), il Fordham Index of Social Healt, lo Human Development Index (HDI), adottato dalle Nazioni Unite e l'Index of Economic Well-Being (IEWB).

Si tratta di strumenti che utilizzano indicatori in genere trascurati dal PIL, come ad esempio il lavoro domestico non retribuito, le disuguaglianze di reddito, l'impoverimento delle risorse naturali, il lavoro prestato volontariamente alla comunità, la mortalità infantile, l'abbandono scolastico, il reddito medio del lavoratore dipendente, la copertura sanitaria, il tasso di abusi sui minori, i suicidi tra gli adolescenti, la tossicodipendenza, il numero di omicidi ecc.

Soprattutto si è diffuso negli ultimi anni il concetto di sviluppo ecosostenibile e di qualità della vita. La crescita e il consumo parossistici non sembrano migliorare il grado di soddisfazione delle persone e mettono in serio pericolo la salute del pianeta. Urge trovare al più presto un nuovo modo di vivere, di organizzare l'attività e la società umana, di produrre, più attento alla qualità che non alla quantità.

Nell'ansia di trasformarsi in scienza, l'economia sembra aver perso la sua funzione originaria. La finanziarizzazione e il neoliberismo privo di regole degli ultimi decenni hanno provocato disastri un po' dovunque, dai quali tardiamo a riprenderci. Rinserrata dentro uno specialismo riduttivo, che si fa talvolta schermo di astrusi modelli matematici, l'economia attuale (di cui il PIL è ancora un concetto chiave) deve rinunciate ad essere un fine per ritornare, come già era considerata nei secoli precedenti, un mezzo al servizio del benessere dell'uomo.

Riferimento bibliografici:
Rifkin, J, Il sogno europeo. Come l'Europa ha creato una nuova visione del futuro che sta lentamente eclissando il sogno americano, Milano, Mondadori, 2004
Stiglitz, J.E., Sen, A.K, Fitoussi, J.P., La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale, Milano, Rizzoli ETAS, 2013