Parlare di virtù, nel nostro tempo, sembra anacronistico. Le virtù, secondo l’opinione dei contemporanei, sono qualità ormai passate di moda che ci impediscono di assaporare pienamente l’esistenza. Se, invece, ci addentriamo maggiormente nella disamina delle virtù, ci accorgiamo che esse sono ancora oggi necessarie per condurre una buona vita, per ottenere gioia, felicità, benessere serenità ed equilibrio. Perciò andrebbero attentamente studiate e rivalutate.
Tra le virtù più importanti, ed ancora attuale, c’è la perseveranza. Per dirla con Tommaso d’Aquino (Roccasecca, Frosinone, 1221 - Fossanova, Latina, 1274), parafrasato dal filosofo Salvatore Natoli (Patti, Messina, 1942)), la perseveranza “è uno stabile e perpetuo permanere nel bene”. L’esercizio di questa virtù richiede uno sforzo quotidiano “dentro e contro le difficoltà”. La perseveranza è quella virtù che ci permette di superare gli ostacoli interni e di perseguire lo sviluppo completo della nostra personalità. Per l’esattezza, Natoli definisce la perseveranza come "la capacità di mantenere un obiettivo o un proposito anche in presenza di difficoltà o ostacoli".
Perseverare è agire in accordo con le nostre personali mete, a breve o, più spesso, a lungo termine. L’accento va messo sul fatto che la perseveranza richiede un impegno costante, continuo, diuturno. La perseveranza, che confluisce nella fortezza, confina con altre virtù, come la costanza e la pazienza, senza coincidere perfettamente con loro. Si apparenta anche con il coraggio e l’ardimento.
Come esempi di mete che necessitano per il loro raggiungimento della perseveranza possiamo citare: la preparazione in vista di un’impresa sportiva, una sperimentazione scientifica ben condotta, la realizzazione di un progetto industriale, l’ottenimento di un titolo di studio, un’occupazione da trovare.
Naturalmente occorre discernimento nell’usare la perseveranza, secondo le contingenze uniche che accadono a ciascuno di noi. Se esageriamo nella fedeltà ai nostri obiettivi, anche quando sono invalidati dalla realtà, sfociamo nell’ostinazione e nella testardaggine. Nel caso opposto, cadiamo nel rammollimento, come quando esageriamo nel cedere ai piaceri. Il contrario della perseveranza è l’accidia, che è una forma di apatia, di tristezza, di noia e di pigrizia.
Forse la più diffusa forma di accidia, nella società contemporanea, è rappresentata dalla procrastinazione, rinviare cioè l'inizio o il completamento di un compito. In un'epoca di distrazioni, ma anche di confusione, complessità e timore del fallimento come la nostra, non è raro che i ragazzi rimandino, per esempio, lo studio, sabotando così il completo sviluppo delle proprie attitudini.
La perseveranza ci porta all’azione e alla realizzazione del possibile. Solo mettendoci alla prova e perseverando possiamo realizzare il possibile. Questo, preferibilmente, dovrebbe avvenire nel quadro di una relazione positiva con gli altri e con il mondo, se vogliamo davvero dare uno scopo motivante alla nostra vita. D’altronde il nostro ego ipertrofico andrebbe ridimensionato, a favore dei cosiddetti “beni di relazione”. E le amicizie, gli affetti, la cura di sé e la disponibilità nei confronti degli altri richiedono appunto una buona dose di attenzione e perseveranza.
Chi persevera agisce anche in assenza di risultati immediati, alimentando una speranza realistica nel futuro.
Anche se colui che persevera non è sicuro che raggiungerà i risultati sperati, egli continua con tenacia ad agire per i fini che ritiene validi e - come scrive l’apostolo Matteo - “chi persevererà alla fine sarà salvato”.
Riferimenti bibliografici:
S. Natoli, Perseveranza, Bologna, il Mulino, 2014