La mia impressione è che la nostra epoca sia caratterizzata da un continuo, caotico, benefico divenire, da un cambiamento che mette in crisi ideologie, istituzioni, strutture mentali sedimentate nei secoli. La "fine della Storia", come aveva profetizzato il pur autorevole politologo nippo-americano Francis Fukuyama, è di là da venire non soltanto sul fronte degli avvenimenti esterni, politici, sociali, economici, ma proprio in relazione alla vita interiore delle persone, riguardo dimensioni ancora inesplorate della nostra vita psichica.
Abbiamo appreso in questi anni come in campo sessuale gli orientamenti siano molti di più della riconosciuta e frusta diade eterosessuale/omosessuale; nella ricerca sui tipi di personalità abbiamo avuto di recente una rivalutazione della introversione, della timidezza, della fragilità, della vulnerabilità, della "malattia". Nel campo dello studio dell'intelligenza, abbiamo appreso che non esiste soltanto l'intelligenza logico-linguistica, particolarmente apprezzata dalle istituzioni scolastiche, ma un numero maggiore di intelligenze e di stili cognitivi, ciascuno con le proprie specifiche prerogative.
Nell'ambito delle Ted conference (o Ted Talks), un sistema sempre più diffuso di condivisione di nuove idee e prospettive, particolarmente apprezzato dalle giovani generazioni, Emilie Wapnick, in un video del 2015, ha avuto il merito di richiamare l'attenzione su un tipo umano in verità non del tutto nuovo, ma che la rivoluzione industriale aveva in parte oscurato: il multipotenziale.
Esistono persone che non hanno una sola vocazione, che non si lasciano facilmente incasellare in un ruolo o in una professione, che possiedono molteplici talenti e soffrono se costrette ad occuparsi, magari in profondità, di una piccola branca del sapere, ma la cui intelligenza ama disperdersi in mille rivoli, interessi, discipline. I talenti dei multipotenziali li portano a cambiare spesso identità professionale nel corso dell'esistenza e a ricercare l'autorealizzazione in molteplici settori dello scibile e delle attività umane.
Si tratta di individui che possiedono sovente una vasta cultura, dotati di una mente duttile, versatile, fertile, creativa, flessibile, mobile che consente loro di collegare ambiti considerati dai più separati e di produrre idee e soluzioni originali, generatrici di innovazioni talvolta epocali.
Possiamo avvicinare i multipotenziali ai cosiddetti "geni universali" - anche se naturalmente pochi sono realmente dei geni - e agli uomini "rinascimentali". Possiamo etichettarli come "eruditi", "intellettuali", "eclettici", "tuttologi", "dilettanti". Qualcuno, come Barbara Sher, li definisce scanner. Infinitamente curiosi, ma spesso disorientati dal sistema di vita occidentale, gli scanner risultano in varia misura incapaci di adattarsi alla routine del mondo del lavoro e di costruirsi una carriera tradizionale.
Gli psicologi professionisti quasi sempre considerano "mature" e "adulte" soltanto le persone che sanno abbandonare i loro mille interessi per dedicarsi alla scelta definitiva di una sola attività, declassando le altre a hobby occasionali. Questo tipo di cultura, profondamente radicata nei nostri costrutti mentali, fa sentire spesso i multipotenziali sbagliati, fuori posto, frustrati. Ne conseguono crolli di autostima, sentimenti di inadeguatezza, di vergogna e di fallimento. La fatidica domanda: "Che lavoro fai?", che nella nostra società intende riduttivamente esaurire l'identità e il valore di una persona, può creare loro un notevole imbarazzo.
La nostra epoca è ancora vittima di un pregiudizio, introdotto dal grande economista e filosofo Adam Smith, (tra l'altro uno studioso dai vasti interessi) che, nella Ricchezza delle nazioni, monumentale opera pubblicata nel 1776, ritenuta ancora oggi un testo cardine nello sviluppo del pensiero economico, considerava la specializzazione un potente fattore di incremento della produttività e quindi di creazione di ricchezza.
Senza smentire del tutto Smith, la recente evoluzione dell'economia moderna, che vede il tramonto del posto fisso e la necessità di espandere la produzione di beni e servizi, richiede sempre maggiormente lo sviluppo di idee nuove e articolate, capaci di mettere in relazione settori da sempre considerati separati e di generare sintesi inaspettate. Un caso è ad esempio quello di Steve Jobs che seppe creare oggetti digitali non soltanto funzionali, ma amichevoli ed esteticamente belli. Ma anche di Elon Musk e del miliardario Warren Buffet, sempre pronti ad esplorare nuove frontiere della conoscenza, a 360 gradi. Oppure, almeno in parte, è il caso dello scienziato Richard Feynman, la cui insaziabile brama di conoscenza lo ha spinto a indagare questioni e materie lontane dalla sua specializzazione, sfidando i cosiddetti esperti. E sicuramente multipotenziali (basta leggerne le biografie!) sono Glenn Cooper, Tim Ferris e Richard Branson.
Non si tratta naturalmente di negare il valore degli specialisti, utilissimi nella risoluzione di numerosi problemi della vita quotidiana. Anche se alcuni di loro spesso dimostrano un'angustia di pensiero e di prospettiva allarmanti, come aveva già sottolineato negli anni Trenta del secolo scorso il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, denunciando l'ascesa dei cosiddetti "ignoranti istruiti". Si tratta invece di riconoscere il valore di una categoria di persone, i multipotenziali, ingiustamente avversata negli ultimi due secoli.
Specialisti e multipotenziali possono pacificamente e fruttuosamente coesistere, incarnando in fondo due tipi umani che sono sempre esistiti e che il filosofo Isaiah Berlin, in un suo straordinario saggio, identifica nel "riccio" e nella "volpe":
"La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande",
scrive Berlin citando un frammento dell'antico poeta greco Archiloco
e così prosegue, in maniera suggestiva, suddividendo gli
scrittori (e i pensatori e gli esseri umani in generale) in due
grandi categorie: coloro che fanno riferimento a un principio
ispiratore o a un sistema unitario più o meno articolato e
coerente e coloro che, viceversa, perseguono molti fini,
talvolta contraddittori, il cui pensiero si muove su più piani,
seguendo una traiettoria centrifuga e non unitaria:
"La personalità intellettuale o artistica del primo tipo appartiene ai ricci, la seconda alle volpi; e senza insistere in una rigida dicotomia, senza neanche preoccuparci troppo di cadere in qualche contraddizione, possiamo dire che, in questo senso, Dante appartiene alla prima categoria, Shakespeare alla seconda; Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust sono in varia misura ricci; Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Moliere, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce sono volpi".Sempre loro ad agitarsi nel Teatro della Storia: multipotenziali e specialisti. Come volevasi dimostrare.