La medicina moderna
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Credo che una sensazione di meraviglia accompagni ciascuno di noi quando fa esperienza della sofisticata tecnologia della medicina moderna. E lo stupore si accresce di fronte agli incalzanti cambiamenti e alle stupefacenti novità che il mondo della medicina ci propone e di cui i media prontamente ci informano, praticamente ogni giorno. Grazie ai grandi e rapidi progressi compiuti
in ambito diagnostico e terapeutico, chi è
affetto da insufficienza renale cronica, per
esempio, un tempo curato soltanto con una dieta appropriata, che tuttavia
ne ritardava soltanto di poco tempo la morte,
oggi può essere trattato con successo tramite la
dialisi o il trapianto. Pure cuore e fegato, se
gravemente ammalati, possono essere sostituiti
con un trapianto. Tumori maligni non operabili,
come linfomi e leucemie, un tempo letali,
attualmente possono essere curati con ampie
prospettive
di sopravvivenza e addirittura di guarigione in
numerosi casi. L’indiscutibile successo della medicina contemporanea poggia le sue basi sulla Rivoluzione scientifica, che si impose nel Seicento, con Galilei (1564-1642) e il suo metodo sperimentale, e con Cartesio (1596-1650) e la sua rigorosa filosofia fondata sul dubbio e la ragione e sulla divisione della realtà in res cogitans e res extensa. La medicina moderna deve poi la sua affermazione allo sviluppo, negli ultimissimi secoli, delle cosiddette “scienze dure”: matematica, ma soprattutto fisica, chimica e biologia. Poggiando su tali solide basi, la medicina è diventata sempre più “medicina scientifica”. Si affida con sicurezza ai numeri, al laboratorio, alle immagini digitalizzate del corpo umano, all’indagine sempre più minuta dei processi biochimici e molecolari che avvengono all’interno delle nostre cellule. Sarebbe impossibile, in un breve spazio,
elencare tutte le personalità e le teorie che
hanno consentito alla medicina di raggiungere il
suo sviluppo attuale. Basti ricordare le
dissezioni sui cadaveri e lo sviluppo
dell’anatomia moderna promossi da Vesalio
(1514-1564), l’ingresso della chimica (al tempo
chiamata “alchimia”) nella pratica medica con
Paracelso (1493-1541), l’impulso allo sviluppo
della fisiologia impresso dalla scoperta della
circolazione del sangue da parte di Harvey
(1578-1657), la patologia cellulare di Virchow
(1856-1902), la medicina sperimentale di Bernard
(1813-1878). Va ricordato che la medicina tecnologica è anche un grande business, che muove miliardi di dollari in tutto il mondo, che produce dispositivi elettromedicali e farmaci nuovi e costosi, posti di lavoro, ricerca, cultura e talvolta interessi e profitti un po’ torbidi. Eppure, nonostante gli indiscussi successi e il posto rilevante che occupa nelle nostre vite e nelle nostre economie, la medicina contemporanea è attraversata da una certa aria di crisi. Il rapporto tra medico e paziente, un tempo caratterizzato dall’indiscussa autorità del primo, è vissuto spesso come insoddisfacente. E la gente comune si avvicina alle cure, invece che con fiducia, di frequente con sospetto. Proprio abbandonando la sua prospettiva olistica, globale, che considerava la persona malata come un’unità fisica, psicologica e spirituale, dimenticando la relazione umana indispensabile tra curante e paziente, oggi un po’ meccanica, parcellizzata da una specializzazione sempre più spinta, mediata principalmente dai parametri di laboratorio e dalle immagini radiologiche, perdendo il proprio stato di “arte”, la medicina ha perso anche in parte la sua aura magica, sciamanica, taumaturgica. Forse proprio per superare l'insoddisfazione per la meccanicità di sapore scientista della cosiddetta "medicina ufficiale", molti pazienti si rivolgono ad altri tipi di medicine e di terapie, la "cosiddetta medicina complementare", che comprende appunto diversi tipi di trattamenti, rimedi e filosofie terapeutiche non riconosciute dalla medicina scientifica. Si registra, nel frattempo, un aumento
costante delle denunce al
personale sanitario, per presunti errori. Si
parla con insistenza negli Stati Uniti di
malpractice e in Italia di “malasanità”.
Ecco perciò che la cultura scientifica, che tanto ha contribuito ai luminosi successi della medicina, da sola non basta nel fronteggiare i problemi della persona malata. Ecco perché al medico e al professionista sanitario in genere, occorre ritornare alle “scienze umane”, alla letteratura e alla filosofia, per capire meglio non soltanto l’uomo che ha di fronte, non riducibile a un meccanismo malfunzionante, ma anche per comprendere se stesso e il mondo circostante, che al rapporto col malato e la malattia fa da cornice. Anche perché proprio il prodigioso sviluppo della medicina tecnologica ha aperto nuovi problemi, che la scienza da sola non è in grado di risolvere. I nuovi dilemmi morali che lo sviluppo scientifico della medicina ha provocato, hanno contribuito alla nascita di una nuova disciplina, la bioetica. Questioni di inizio e fine vita, la fecondazione artificiale e l’aborto, l’accanimento terapeutico e l’ eutanasia, la qualità della vita, il ricordato rapporto medico-paziente, la sperimentazione sugli animali e sull’uomo, la clonazione di esseri viventi, l’allocazione delle risorse secondo principi di equità e di giustizia richiedono riflessioni non banali, rimandano ad un’elaborazione filosofica e a delle risposte, per quanto parziali e provvisorie, che la scienza non può dare. Forse la medicina moderna, scientifica, oggettiva, quantitativa, pur consapevole dei grandi risultati raggiunti e dei grandi meriti acquisiti presso l’intera comunità umana, deve forse ritornare sui suoi passi, deve superare l’approccio riduzionista odierno e riscoprire il meglio della sua tradizione passata, quando ogni medico era anche filosofo. Riferimenti bibliografici: Bobbio, M.,
Il malato immaginato. I rischi di una medicina
senza liniti, Torino, Einaudi, 2010 |
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