La crisi in cui si dibattono le istituzioni scolastiche e i sistemi di istruzione in tutto il mondo, resa evidente dai problemi occupazionali delle giovani generazioni, ha riacceso un annoso dibattito: quello sulla contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica. Da più parti si sostiene che lo studio delle humanities sia del tutto inutile, tempo sprecato dietro a saperi inesistenti, mentre soltanto le lauree STEM, nelle cosiddette scienze dure (matematica, fisica, informatica, biologia, chimica ma anche, di conseguenza, medicina e ingegneria), aprano la strada al mondo del lavoro, a una carriera gratificante e alla possibilità di rendersi utili alla società.

Gli scienziati, particolarmente in Italia, lamentano un atteggiamento di storica chiusura e di ingiustificata superiorità da parte della egemone cultura umanistica, improntata ancora dalle nostre parti all'idealismo di Benedetto Croce che, riprendendo un'espressione di Giambattista Vico, riteneva gli uomini di scienza "ingegni minuti". Una cultura rinforzata, secondo alcuni studiosi della scienza, dagli esponenti della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse e altri), i cui testi, critici nei confronti della razionalità scientifica e dell'industria, a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso hanno influenzato tutta una classe di docenti che oggi occupa, in Italia, ma non solo, le cattedre universitarie.

Non a caso, da noi, il ciclo di studi per eccellenza viene considerato il liceo classico, istituito nell'Ottocento e che fa della sua adesione alla cultura dell'antichità, greca e romana, il cardine del patrimonio di conoscenze dei suoi studenti e delle future classi dirigenti del Paese. Affermazione, per inciso, non completamente vera, visto che gli studenti che frequentano il classico puro sono oggi un'esigua minoranza.

Osservando la questione da un punto di vista meramente utilitaristico i critici della cultura umanistica hanno molte ragioni. A partire almeno dalla rivoluzione industriale il sapere scientifico ha dato impulso a molte attività produttive. Questo è stato possibile soprattutto grazie alla cosiddetta scienza applicata, alle tecnologie cioè che dal progresso scientifico sono, almeno in parte, derivate. Le condizioni di vita di intere popolazioni in virtù dello sviluppo della tecnica, sono migliorate, perlomeno dal punto di vista materiale. E i Paesi che più hanno investito nella ricerca scientifica sono quelli che oggi vantano una maggiore potenza economica.

Tuttavia quando siamo interiormente in crisi, quando cerchiamo un significato nella nostra travagliata esistenza, è la cultura umanistica quella che ci aiuta ancora a trovare un senso alle nostre azioni, a dipanare i nodi della matassa della nostra esistenza. La scienza, pur con tutti i suoi strabilianti avanzamenti ha, in relazione a ciò, poco da offrirci.

La contrapposizione tra anima umanistica della cultura e anima scientifica non è nuova, ma attraversa i secoli. Partendo dalla modernità, è dal Seicento, con l'avvento della Rivoluzione scientifica che la contrapposizione è tornata di grande attualità. Prima, scienziati e letterati si confondevano di più. Galileo, per esempio, era sia l'una che l'altra cosa, era un letterato e uno scienziato. In seguito al vertiginoso sviluppo delle scoperte scientifiche e delle conoscenze, con conseguente iperspecializzazione degli studiosi di qualsiasi disciplina, la frattura tra le due culture si è fatta sempre più profonda.

Scienziati e letterati hanno due modi diversi di osservare il mondo, di riflettere sulla propria esperienza del mondo e di organizzare i dati a disposizione. A grandi linee, mentre gli scienziati sembrano procedere seguendo un metodo che prevede ipotesi, osservazioni, esperimenti, revisione dei risultati da parte della comunità scientifica, e correzione delle vecchie teorie in base alle critiche fondate sui nuovi dati acquisiti, i letterati osservano il mondo della vita da un punto di vista più soggettivo, prendono in considerazione emozioni e sentimenti, rendono universale la propria esperienza particolare.

Mentre nella scienza c'è un accumulo e un progresso nelle conoscenze, in letteratura prevale la doxa (l'opinione), il rifarsi a un canone e a una tradizione. Pur mantenendo vivo un atteggiamento critico, esiste molto forte il rifarsi alle voci più autorevoli del passato. Un filosofo italiano, Giulio Preti, scrivendo nel 1968 un saggio sulle due culture, indicò nella logica il fondamento della cultura scientifica e nella retorica quello della cultura umanistica. Il discorso degli umanisti non è quasi mai freddo e distaccato, oggettivo, ma cerca con le armi della retorica di persuadere un ipotetico uditorio.

Da più parti si invoca, oggi, un superamento delle due culture, per ritrovare un'unità del sapere che appare indispensabile per affrontare le sfide che il futuro ci riserva. Sono sorte negli ultimi decenni discipline che cercano di costruire un ponte fra le due culture. Per esempio la bioetica, che si occupa delle questioni morali inerenti l'affermarsi della scienza e della tecnica. Oppure la filosofia della scienza, l'epistemologia o, ancora, la storia della scienza.

Oggi, purtroppo, la scienza viene ancora insegnata nelle scuole in modo piuttosto autoritario. Ci si limita spesso, almeno a livello di scuola secondaria, a riempire la testa degli studenti con un certo numero di formule (il contrario del metodo sperimentale), senza spiegare a quali tipi di problemi e in che modo quelle formule hanno fornito una risposta. Ciò contribuisce ad allontanare molti giovani.

La storia del pensiero scientifico, a partire dall'antichità, è attraversata da teorie lasciate cadere che oggi vengono riesumate e che sembrano ancora suscettibili di produrre sviluppi fecondi e inaspettati. Soprattutto, il mondo contemporaneo sottopone all'esame dell'intera umanità dei problemi complessi, che spesso richiedono un approccio multidisciplinare. Il sapere dello scienziato, ristretto ormai a un piccolissimo campo d'indagine e spesso sottoposto al condizionamento di enormi interessi economici, è assolutamente inadeguato, da solo, nel rispondere ai drammatici dilemmi della contemporaneità, che richiedono al contrario una disamina ampia e approfondita.

Dobbiamo utilizzare con saggezza le conoscenze tecnico-scientifiche, così preziose per il nostro benessere materiale, ma dobbiamo avvalerci delle non meno importanti, pur se fallibili e soggettive, opinioni ed elaborazioni teoriche degli umanisti.

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