Le discoteche rappresentano in questo senso il simbolo
più pregnante della nostra età rumorosa e materialista: musica assordante, movimento del corpo parossistico, ripetitivo e anfetaminico, luci stroboscopiche accecanti e esse stesse "" rumorose", corpi che si urtano come molecole impazzite, dj sopra le righe che incitano alla
confusione fragorosa.
Persino nelle nostre abitazioni siamo soliti tenere la tv o la radio sempre accese, nel timore che il silenzio ci soffochi. Il rumore
è tanto diffuso perché rappresenta per molti di noi una rassicurazione.
L’uomo contemporaneo ama distinguersi per l’azione, per la capacità di fare, di incidere sull'ambiente in cui vive, per l’esuberanza, la performance, l'estroversione. Il frastuono, la presenza chiassosa sono ormai associate a una fervida produttività. Rispondendo al riflesso condizionato delle convenzioni sociali, percepiamo la persona rumorosa come sveglia, attiva, vitale. "Il rumore" - scrive il sociologo e antropologo francese David Le Breton - "accompagna la velocità, la potenza, l'energia, il potere".
Il silenzio non è oggigiorno propriamente popolare. Le persone silenziose sembrano asociali, distaccate, tendiamo ad attribuire loro problemi personali irrisolti. E, dal punto di vista utilitaristico e commerciale, il silenzio è improduttivo.
Eppure il silenzio spesso assume valenze positive. Il silenzio può essere, per esempio, l'atteggiamento naturale di chi è capace di ascoltare l’altro in profondità. La conversazione stessa, che non sia la semplice chiacchiera infarcita di luoghi comuni beneficia di pause silenziose, che permettono di alternarsi nel parlare, di riflettere e di avere uno scambio verbale non superficiale.
Il silenzio rappresenta una sorta di necessario segno di punteggiatura all’interno di una conversazione ben svolta.
La riflessione abbisogna di raccoglimento e silenzio. La lettura, la contemplazione e la meditazione sono attività che necessitano di silenzio. Ma anche le grandi imprese, persino quelle degli uomini d’azione, spesso richiedono una preparazione silenziosa.
Il silenzio accompagna l’isolamento e la solitudine quasi sempre necessari nella
realizzazione delle maggiori espressioni creative, per esempio nel campo della produzione artistica, letteraria, musicale.
E di fronte all'ineffabile, alla bellezza di un'opera d'arte, di un paesaggio, di un attimo, di un essere
umano, quale manifestazione più del silenzio è in grado di esprimere la nostra meraviglia?
Il silenzio può rappresentare il baluardo più potente contro la barbarie della propria epoca. Ricordiamo che tra coloro che salvarono la cultura occidentale dalle invasioni barbariche vi furono i monaci, all’interno dei monasteri. Possiamo immaginare il silenzio che accompagnava gli amanuensi mentre ricopiavano i testi classici, minacciati di essere distrutti. L'ordinata vita monastica prevedeva l’alternarsi di socialità e di solitudine, di lavoro e di meditazione e preghiera, ma soprattutto ancor oggi abbazie e monasteri sono luoghi ricercati da molti manager, professionisti, scienziati, imprenditori e persone comuni proprio perché luoghi tranquilli, lontani dal tumulto delle folle, luoghi abitati dalla pace e dal silenzio, dove è possibile rigenerarsi, riposarsi dagli affanni della vita quotidiana, ritrovare il contatto smarrito con se stessi e condurre una vita più equilibrata.
Tutte le religioni prevedono pratiche all'insegna del silenzio, così come la quasi totalità delle
"scuole di saggezza", occidentali ed orientali. Nel rapporto spesso silenzioso tra maestro e allievo e dell’allievo con se stesso è possibile raggiungere l’illuminazione e la perfezione. Il silenzio si accompagna alla rivelazione, all'estasi e al sacro.
Non si dà quasi vita spirituale senza pratiche o esercizi collegati al silenzio.
Molti rifuggono il silenzio perché spaventati dall'incontro con se stessi, i propri limiti e fallimenti e le proprie fragilità. Il silenzio può generare in taluni angoscia. Molto meglio allora il fragore che stordisce, offusca la percezione e allontana dalla consapevolezza.
Non si tratta di demonizzare l'attivismo dinamico e il trambusto produttivo della contemporaneità: il rumore può assumere senza dubbio anche connotazioni positive. Sono contrario alle distinzioni manichee: nella nostra esistenza raramente gli opposti si escludono vicendevolmente, ma coesistono in proporzioni diverse a seconda dei temperamenti individuali e delle situazioni. Il mio discorso intendeva limitarsi a rivalutare il silenzio, definito altrimenti “la lingua degli angeli”, che solo può metterci in contatto con le sorgenti più intime e profonde della nostra personalità.
Riferimenti bibliografici:
Le Breton, D.,
Sul silenzio. Fuggire dal rumore del mondo, Raffaello
Cortina Editore, 2018
Dinouart, J.A. (abate),
L'arte di tacere, Sellerio, 1989
Kagge, E.,
Il silenzio. Uno spazio dell'anima, Einaudi, 2017