Si potrebbe obiettare che invece l'Italia ha fatto grandi passi nell'ultimo secolo e che l'analfabetismo, un tempo endemico, è stato quasi totalmente eradicato. "Vero - ribattono coloro che sanno - ma l'epoca contemporanea richiede conoscenze molto più avanzate del semplice saper leggere e scrivere, per restare competitivi nello scenario economico globale". Sicuramente hanno ragione.
Tuttavia, il problema dell'ignoranza è molto più complesso di quanto ce lo presentino i professori. Anzitutto non è facile definire l'oggetto del nostro tema. Che cos'è infatti l'ignoranza? Secondo la definizione del vocabolario Treccani, che ciascuno può controllare sul web, apprendiamo che le accezioni sono numerose. È "ignorante" chi ignora determinate cose; è "ignorante" chi è privo di istruzione; è "ignorante" chi si comporta con maleducazione. Il contrario dell'ignoranza è la conoscenza, o la sapienza, o la cultura. Ma che caratteristiche deve avere un uomo colto? In epoche storiche passate era ritenuto "colto" soltanto chi conosceva il greco e il latino. Una simile definizione escluderebbe oggi parecchi letterati e scienziati di gran fama.
È un luogo comune, ma non per questo privo di fondamento, affermare che viviamo in un universo complesso. Ciascuno di noi conosce bene determinate cose, che di solito hanno attinenza con le attività svolte quotidianamente. Il mondo occidentale basa la propria forza sulla divisione del lavoro e sulla specializzazione. Al di fuori però del nostro campo di stretta competenza, tutti noi ignoriamo un'infinità di nozioni. Quasi tutti usiamo tecnologie di cui non comprendiamo a fondo il funzionamento e ignoriamo quasi completamente ciò che è esterno al nostro limitato campo di esperienze. La condizione dell'uomo moderno è stata bene sintetizzata dallo scrittore francese Gustave Flaubert, già nell'Ottocento. Nel suo romanzo- capolavoro, incompiuto, Flaubert ritrae due copisti, Bouvard e Pecuchet, che liberatisi dall'obbligo lavorativo, si dedicano a uno studio enciclopedico. Il loro progetto naufraga, perché i due si accorgono che la conoscenza umana è in ogni campo incerta e contraddittoria. E pure oggi è così. Chi si ritiene depositario di una verità incontrovertibile e immodificabile è quasi sempre un dogmatico che rischia di debordare nel fanatismo.
Ugualmente legare la conoscenza al completamento di un ciclo di istruzione formale non garantisce né il nostro sapere, né la nostra sapienza. Luigi Einaudi, uno dei Padri fondatori della Repubblica, economista di rango, scrittore e polemista stilisticamente pregevole, ebbe a vergare nel lontano 1947, un articolo-saggio intitolato "Vanità dei titoli di studio", in cui arrivava ad affermare: "Sono vissuto per quasi mezzo secolo nella scuola; ed ho imparato che quei pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea, certificati di licenza valgono meno della carta su cui sono scritti".
Eppure non sono pochi coloro che oggi vorrebbero condizionare il diritto di voto al titolo di studio conseguito. Dare cioè un peso diverso al voto di ciascuno, sulla base del grado di istruzione formale raggiunto. Un insulto, a mio avviso, al concetto stesso di democrazia. Una proposta che si ispira alla Repubblica di Platone, per il quale il governo della polis andava assegnato ai sapienti. Un'idea che il filosofo Karl Popper non esitò a definire totalitaria, convinto che il governo di un'elite degeneri in tirannia. Comprensibilmente, perché nessuna elite detiene il monopolio del sapere e ogni elite è composta da individui che tendono inevitabilmente a tutelare i propri interessi di classe, a scapito dei più deboli.
Ho accennato alla specializzazione esasperata della nostra epoca. Che, se si è rivelata efficace sotto l'aspetto della produzione, non lo è altrettanto quando si tratta di decidere o di pronunciarsi sulle più svariate questioni politiche. Ortega y Gasset, un filosofo spagnolo particolarmente brillante vissuto nel ventesimo secolo, nella sua opera principale, La ribellione delle masse, parlava della nostra società come generatrice di una nuova figura, quella del "dotto-ignorante", ossia di una persona che conosce minuziosamente il proprio angusto campo specialistico, ma non è migliore dell'uomo della strada quando si tratta di esprimersi su temi e scelte che riguardano la vita collettiva.
D'altronde non sempre la scuola e le università producono il meglio di quanto esiste nel panorama culturale. La rivoluzione scientifica e la rivoluzione digitale ad esempio, due grandi svolte epocali nella storia dell'uomo, sono nate fuori dagli ambienti accademici. Per non parlare delle arti (musica, pittura, letteratura, cinema, ecc), che hanno spesso storicamente come protagonisti e innovatori personaggi del tutto estranei alle università. Nel campo della storia del pensiero Schopenhauer ironizzava sulla "filosofia delle università", così come sulla qualità dell'istruzione scolastica era scettico Friedrich Nietzsche. Un pensatore originale e per molti versi profetico come Ivan Illich propugnava la "descolarizzazione della società". Lo psicologo e filosofo James Hillman riteneva che la scuola sia spesso di ostacolo alle persone più creative. Scrittori dell'importanza di Orwell, di Hesse, di Papini, di Pasolini ebbero modo di criticare aspramente l'istruzione scolastica. Rabelais, da par suo, satireggiava sul mondo accademico. La lista delle personalità eminenti critiche nei confronti della scuola sarebbe pressoché infinita.
Ora tutti dobbiamo riconoscere i meriti dell'istruzione scolastica nella formazione di ciascuno di noi. Non mi sembra azzardato però ritenere che in una società che si proclama pluralista, la scuola tradizionale non sia e non possa essere l'unico centro del sapere, l'unico Dio cui offrire sacrifici. Non possiamo pertanto tacere i limiti della scuola, il suo essere, come tutte le istituzioni, tendenzialmente burocratica, conservatrice e promotrice di un certo qual conformismo, buono per preparare e fornire numerosi funzionari e impiegati allo Stato, nella migliore delle ipotesi, ma non sempre per formare individui creativi abbastanza da permettere un avanzamento del sapere e del benessere collettivo.
Inoltre la teoria di Howard Gardner sulle intelligenze multiple ci dimostra che non tutte le intelligenze sono adattabili alla scuola tradizionale, la quale privilegia al contrario, almeno per il momento, un tipo soltanto di stile cognitivo, quello collegato all'intelligenza linguistica e logico-matematica. Non dobbiamo pensare che chi svolge attività in apparenza manuali sia privo di sapere e conoscenza: il bravo artigiano, l'operaio con esperienza, il contadino a costante contatto con la Natura, la casalinga. Né è privo di sapere l'imprenditore che sa fiutare i bisogni emergenti del mercato. Nessuno di noi, mi verrebbe da dire, è sprovvisto di una quota di conoscenza.
Occorre ricordare che anche l'uomo veramente più sapiente del mondo ignora un'infinità di cose. Probabilmente la nostra sapienza non eguaglierà mai la nostra infinita ignoranza. Esiste una parte di mondo che forse rimarrà per sempre inconoscibile. La nostra vita nell'Universo, malgrado l'avanzamento delle scienze, rimane un oceano di mistero, dove la somma delle nostre conoscenze rappresenta una piccola isola.
Abbiamo ricordato che il vocabolario elenca tra le definizioni di "ignoranza " anche quella di maleducazione. Questo tipo di ignoranza produce presunzione e arroganza, atteggiamenti assolutamente sgradevoli. E come definire, se non arrogante, il comportamento di coloro che, in virtù del proprio status, si considerano superiori culturalmente agli altri, disprezzandoli e volendo negare loro diritti fondamentali come quello di voto?
Ormai sui social-media è tacciato di "ignorante" chiunque non sia della nostra medesima opinione. Che, per paradosso, è giusto il segno inequivocabile dell'ignoranza di chi lancia l'accusa. Ma tutto sommato quello che succede nell'arena democratica e un po' sopra le righe dei social-media si può al limite perdonare. Quello che invece io trovo non tollerabile è l'atteggiamento di superiorità, l'alterigia, la supponenza con cui parte della classe dirigente del Paese guarda le persone "comuni": dall'alto al basso.
Un atteggiamento ingiustificabile: nessuno detiene la verità e spesso gli errori più clamorosi li compiono gli esperti. Si veda l'ultima epocale grave crisi economica non pronosticata da alcun professionista del settore. Alla soluzione dei problemi possono concorrere tutti e tutti possono dare un valido contributo, aggiungere un tassello verso la comprensione, proprio partendo dalla personale esperienza del mondo. Una "società aperta", ci ha insegnato Popper, funziona così. Il motto di uno dei fondatori della filosofia occidentale, Socrate, uno che discuteva al mercato e non nei templi consacrati alla conoscenza, è "so di non sapere". Paradossalmente è proprio l'ignoranza consapevole, il sentimento di una mancanza a determinare quell'inquietudine che funge da lievito alla ricerca sia scientifica che filosofica.
Insomma, mettiamo da parte la superbia: siamo tutti allievi alla scuola della vita!
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