Il debito pubblico
Come accade a un privato cittadino o alle famiglie, così
può succedere a uno Stato di indebitarsi. Ciò si verifica quando le
uscite superano le entrate.
Nel caso dello Stato, le entrate sono date dalle imposte e dai contributi sociali, mentre alle uscite corrispondono le spese per la pubblica amministrazione, cioè l'insieme di enti pubblici statali, locali e di previdenza. La differenza tra entrate e uscite nel bilancio di uno Stato, a seconda che sia positiva o negativa, si definisce avanzo o disavanzo pubblico. Sia i privati cittadini che gli Stati sono tenuti a pagare i propri debiti. Come quello privato, anche il debito pubblico perciò va finanziato.Ecco allora che gli Stati, a garanzia del debito, emettono i cosiddetti titoli del debito pubblico, sottoscritti principalmente dai risparmiatori. Si tratta per lo più di buoni del tesoro a tassi di interesse e scadenza differenziati. In Italia gli ormai famosi Bot (Buoni Ordinari del Tesoro), Cct (Certificati di Credito del Tesoro), Btp (Buoni del Tesoro Poliennali). Secondo un grande economista inglese, John Maynard Keynes (1883-1946), quando un'economia ristagna e aumenta la disoccupazione, un aumento della spesa pubblica e, quindi, del debito può essere un provvedimento positivo, in quanto stimola la domanda e fa ripartire un'economia al collasso. Ma una classe dirigente avveduta tiene sempre conto del debito contratto e progetta al più presto dei piani di rientro, affinché non vada fuori controllo. La questione del debito pubblico è particolarmente avvertita in Italia,
dove rappresenta un problema strutturale dell'economia. La propensione della classe politica italiana a creare debito pubblico è un atteggiamento culturale radicato nella storia del nostro Paese. Già dieci anni dopo l'Unità d'Italia il nostro debito pubblico era ingente e ammontava all'80% del Pil. E attorno al 1890 l'aumento della spesa pubblica portò il nostro debito al 100% del Pil. Ma gli anni decisivi nella creazione del debito pubblico in Italia, con i connotati e le dimensioni con cui lo conosciamo oggi, risalgono agli anni sessanta e settanta del secolo scorso. In quegli anni la spesa pubblica aumenta, oltre che per ragioni di giustizia sociale e di ridistribuzione del reddito, soprattutto perché le forze politiche cercano il consenso sociale. Risalgono a quell'epoca l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la possibilità per i lavoratori di andare in pensione precocemente. La cultura del cosiddetto deficit spending viene appoggiata dall'intero arco costituzionale: maggioranza e opposizioni votano compatte gli aumenti di spesa, mentre l'ammontare degli interessi da pagare sul debito cominciano a diventare insostenibili. Gli anni Ottanta accentuano la tendenza irresponsabile all'aumento della spesa pubblica. Tra il 1980 il 1990 il rapporto tra debito pubblico e Pil passa infatti dal 60% al 100%. Aumenta il numero delle pensioni di invalidità, viene tollerata l'evasione fiscale, gli enti pubblici vengono amministrati dalla politica senza rispondere a criteri economici di efficienza e produttività. Numerosi enti vengono intesi come dispensatori di posti di lavoro sicuri per i clienti della politica, senza alcun controllo circa l'utilità e il rendimento. Accumulare debito pubblico diventa un modo per rinviare la risoluzione dei problemi della nazione, anzi per scaricarne l'onere sulle generazioni future. Il tutto nella noncuranza di opinione pubblica e classe politica. La necessità di aderire ai ferrei vincoli del Trattato di Maastricht per entrare a far parte dell'unione monetaria europea obbliga l'Italia a ripensare la propria politica economica. A partire dal 1994 inizia un'azione di risanamento che, se ci poterà con successo nel sistema dell'euro, si rivelerà tuttavia sul lungo periodo insufficiente. Lo sta a dimostrare la cronaca attuale: la globalizzazione vertiginosa dell'economia, le crisi ricorrenti del capitalismo, le speculazioni finanziarie internazionali rendono oggi drammatica la situazione dei nostri conti pubblici. E richiedono un'azione di risanamento ancora più rigorosa ed incisiva che nel passato e una riforma dell'intero sistema economico nazionale, per evitare il fallimento economico dell'intero Paese. Cosa occorre per avviarsi con decisione sulla strada del risanamento? In questa direzione, importante è soprattutto liberare l'energia e la creatività di milioni di giovani, spesso istruiti e tecnicamente aggiornati, oggi compressa da un mercato del lavoro che non funziona e che non assicura il necessario ricambio generazionale. Riferimenti bibliografici:Musu, I. Il debito pubblico. Quando il governo spende di più di quello che incassa. Meccanismi, conseguenze, politiche di aggiustamento, storia del debito pubblico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1998 Ricossa, S. Come si manda in rovina un Paese. Cinquant'anni di malaeconomia, Milano, Rizzoli, 1995
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Pagina aggiornata il 22.01.12 |