I nostri non sono tempi misericordiosi. Forse non lo sono mai stati nell'intera storia dell'uomo. L'esistenza, intesa come guerra di tutti contro tutti, come giungla, come dominio del più forte, anche se talvolta schermata dalle buone maniere, rappresenta ancor oggi l'ideologia dominante. Le persone che si rivolgono a terapeuti e coach non chiedono di diventare più umane, ma di diventare più forti, più indifferenti e invulnerabili. C'è poco spazio, almeno presso le società più ricche, per la pietà, per la misericordia, per la benevolenza, per la solidarietà, per la comprensione e la simpatia verso la fragilità e il dolore umani.

Aristotele definisce nella Retorica la compassione "il dolore causato dalla vista di qualche male, distruttivo o penoso che colpisce uno che non lo merita e che possiamo aspettarci possa colpire noi stessi o qualche nostro caro". Va precisato che la compassione, ossia la partecipazione alla sofferenza altrui, non è un valore apprezzato da gran parte della filosofia occidentale. A partire dagli stoici per giungere a Cartesio, Spinoza e Nietzsche, la compassione non è considerata una virtù. Anzi è intesa, in molti casi, come una versione ipocrita dell'amor proprio, motivo di orgoglio, un rimarcare la propria superiorità su coloro che sono colpiti dalla sventura. Un'offesa alla dignità dei sofferenti, un considerarli esseri inferiori, incapaci di reagire autonomamente alle diffcoltà. Di più: non di compassione c'è bisogno nel mondo - sembrano ribadire molti filosofi - ma di giustizia.
Per Spinoza "nell'uomo che vive secondo ragione la compassione è per se stessa cattiva ed inutile". Secondo Nietzsche (che rincara la dose!) è "un istinto depressivo" che indebolisce "gli altri istinti che vogliono conservare ed aumentare il valore della vita". Il filosofo della trasvalutazione di tutti i valori conclude che si tratta di "uno degli strumenti principali della decadenza dell'uomo".

Diversa è invece la sensibilità che manifestano la letteratura e l'arte. In questi ambiti spesso la compassione è considerata un sentimento nobile, da apprezzare. La vediamo rappresentata nell'Iliade, quando Achille, l'invincibile guerriero, tramite l'intercessione di Zeus stesso e della madre Teti, si persuade a incontrare Priamo, si commuove alle suppliche del vecchio padre di Ettore e gli restituice con tutti gli onori il corpo del rivale e nemico ucciso in duello.
Il tragediografo greco Eschilo sottolinea, nella sua celebre opera I Persiani, che la gioia per la morte del nemico è un sentimento non umano. Ma già nella mitologia dell'antica Grecia, figure divine ed eroiche come quella di Prometeo suscitano compassione: lo stesso Efesto, che per ordine di Zeus ha incatenato Prometeo alla roccia, ne prova pietà.

Passando alla letteratura medioevale, nella Divina Commedia sono molti i dannati per i quali Dante prova pietà, a cominciare da Paolo e Francesca.
In un'epoca successiva, in quello che può essere considerato il primo romanzo moderno, il Don Chisciotte, l'hidalgo Alonso Chisciano, protagonista del racconto di Cervantes, abbraccia i valori degli antichi cavalieri e si fa vanto di difendere i deboli e di riparare i torti da loro subiti, riportando il più delle volte sonore batoste e lo scherno degli uomini più prosaici.

Nell'Ottocento, i personaggi di Dostoevskij, in particolare nel caso del principe Myskin, protagonista del romanzo L'Idiota, possono unire l'amore alla compassione, il sentimento alla redenzione, l'attrazione alla salvazione, come avviene nel rapporto tra Myskin e la peccatrice Nastasya Filippovna, relazione che intende riscattare la donna dal disprezzo dei benpensanti.

Per il poeta francese Baudelaire il nostro passaggio terreno è caratterizzato da angoscia, malattia, paura e vizio. Come non provare pietà per una simile condizione? E, difatti, nella sua opera poetica le occasioni di compassione non mancano: come quando descrive le vecchiette curve e zoppicanti che arrancano sulle strade delle tumultuose città moderne, metropoli insensibili al dolore dei viventi, ovvero manifesta commozione verso lo sfiorire della bellezza femminile. O quando si sofferma sull'oblio, cui vanno soggetti i morti, dimenticati dai vivi, perennemente distratti dalle loro occupazioni.
In molte occasioni Baudelaire ci richiama alla pietà verso gli animali: riferimento famoso è la poesia L'albatros, lirica carica di simboli e significati. Va aggiunto che al rispetto compassionevole verso tutti i viventi ci invita una filosofia (e una religione) millenaria come il buddhismo. Idea cui non sono estranei neppure pensatori "occidentali" come Leopardi e Schopenhauer.

La guerra, portatrice di violenze ed orrori, spinge il poeta alla compassione e alla commozione. E' il caso del nostro Giuseppe Ungaretti, le cui scabre ed incisive liriche ci richiamano alla fraternità.

Infine un ultimo motivo di compassione: l'incontro con lo Straniero, l'altro da sè, con cui condividiamo l'umano cammino, deve spingerci all'accoglienza fraterna e alla saggezza del dialogo. E' quanto ci suggersice il poeta e scrittore francese Edmond Jabès. La condivisione è difatti un movimento molto prossimo e quasi indistinguibile dalla compassione.

Di fronte dunque alla fragilità e tragicità dell'esistenza, particolarmente in un'epoca come quella odierna, caratterizzata ancora da conflitti armati, da odi e da pulsioni di sopraffazione, riscopriamo, come necessario contravveleno da contrapporre alla spietatezza, la virtù della compassione. Ne beneficerebbe la qualità della vita di tutti.

Riferimenti bibliografici:
Abbagnano, N., Fornero, G., Dizionario di filosofia, Torino, UTET, 1998
Prete, A., Compassione. Storia di un sentimento, Torino, Bollati Boringhieri, 2013