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La civiltà dello spreco

Nel corso degli ultimi decenni si sono sedimentate negli stili di vita di milioni di cittadini occidentali abitudini  improntate al consumo parossistico di merci, oggetti e persino esperienze. Tanto che a molti osservatori attenti, la nostra appare con nitidezza una società dello spreco.

Consumare di continuo, sempre di più, soddisfare qualsiasi desiderio, magari indotto dall'industria, comprare tutto quello che si vede in televisione, a costo di indebitarsi, sembra essere diventata l'unica via praticabile per affermarsi ed essere felici, per riempire quel vuoto di senso che pervade l'esistenza di molti di noi. Molte persone, - in America sono stimate in 15 milioni -, devono ricorre a cure psichiatriche perché diventate shopping addicted. Soffrono cioè della sindrome da acquisto compulsivo e dilapidano in spese voluttuarie ingenti somme di denaro, compromettendo spesso rovinosamente i bilanci familiari.

Purtroppo (o per fortuna) la felicità non si può comprare al supermarket. E la globalizzazione prima, e la crisi economica poi, con l'erosione progressiva dei salari e l'aumento della disoccupazione, stanno rendendo questo stile di vita improntato all'eccesso, insostenibile per la maggioranza dei cittadini occidentali.

Non solo i governi, ma anche le famiglie e i singoli individui si trovano oggi a dover affrontare una "revisione della spesa" che induce non soltanto a ridimensionare i propri consumi, ma soprattutto a elaborare una coscienza più matura dei problemi e a sviluppare uno stile di vita più saggio ed ecologicamente sostenibile.

Stiamo faticosamente prendendo coscienza, per esempio, che sprechiamo il cibo. Ogni anno vengono gettati nella spazzatura, in tutto il mondo, alimenti per il valore di 2060 miliardi (un terzo di quanto prodotto), mentre 805 milioni di persone sono sottoalimentate. L'acqua, altra risorsa tanto scarsa da essere definita "oro blu", non subisce una sorte molto diversa. Un abitante di un paese ricco consuma acqua in misura cinque volte superiore a quanto consuma un "povero".

Il discorso non cambia  riguardo le risorse non rinnovabili, come il petrolio e le altre fonti fossili di energia. La cementificazione dissennata del nostro territorio, oltre che causare dissesti idrogeologici, ha ridotto la superficie di suolo fertile. Le inquinanti attività umane (le fabbriche, la circolazione automobilistica, gli allevamenti industriali) hanno contribuito a modificare il clima con l'effetto di provocare la desertificazione di alcune aree del pianeta e generare devastanti alluvioni in altre.

Gli inutili imballaggi che accompagnano le merci producono un surplus di rifiuti, difficilmente smaltibili. Un comune sacchetto di plastica usa e getta per la spesa richiede, per esempio, oltre 1000 anni  per essere eliminato

Sul fronte della salute, tonnellate di farmaci ancora attivi e utilizzabili vengono gettati nell'immondizia. Molti soldi destinati alla salute dei cittadini vengono sperperati in esami diagnostici inutili, in ricoveri ospedalieri inappropriati e in terapie irrazionali.

Purtroppo i nuovi protagonisti dell'economia mondiali, i cosiddetti Paesi emergenti (Brasile, Russia, Cina, India e le altre "tigri asiatiche") stanno seguendo il nostro stesso modello di sviluppo, rendendo la situazione del pianeta sempre più drammatica in termini di inquinamento e di consumo di risorse naturali.

In Italia, per ragioni storiche e culturali, lo spreco si allarga all'impiego delle risorse pubbliche (costi della politica, auto blu, corruzione, collusioni di Stato e imprese con la criminalità organizzata, aziende municipalizzate e pubblica amministrazione inefficienti, enti inutili, corporativismo, nepotismo ecc.) fino ad arrivare allo spreco dei talenti. Giovani istruiti e altamente scolarizzati devono emigrare per inseguire il miraggio di un lavoro e di una vita soddisfacente.

Prigionieri di una volontà di potenza distruttiva, di un narcisismo cinico ed egoista, abbiamo consumato e continuiamo a consumare senza ritegno, senza pensare al domani, al futuro del nostro pianeta e alle generazioni che verranno dopo la nostra.

Forse è arrivato davvero il momento di cambiare. In Italia sono state avviate iniziative lodevoli, all'insegna del cambiamento. Per esempio l'Università di Bologna ha promosso il Last Minute Market, un'iniziativa che permette di destinare beni invenduti (prodotti alimentari, prodotti ortofrutticoli, pasti pronti non serviti, farmaci, libri) a favore delle fasce più deboli della società. A Brescia, un termovalorizzatore di ultima generazione permette di trasformare i rifiuti in ricchezza, in energia elettrica ed acqua calda. In tutta la penisola sono orami 170mila i coltivatori che vendono direttamente i prodotti freschi della loro terra, " a Km zero", abbattendo così i costi legati ad intermediari e trasporti e facendo realizzare al consumatore un risparmio medio del 30%. Cresce inoltre il numero di connazionali che, sovente per puro senso civico, senza nessun incentivo economico, provvede a differenziare i rifiuti di casa (carta, plastica, vetro, alluminio, materiale organico ecc.).

C'è bisogno dunque di una rivoluzione dello stile di vita occidentale, una rivoluzione non soltanto economica, ma anche etica ed estetica, all'insegna del risparmio di materie prime, del riuso dei prodotti,  del riciclo degli oggetti e del recupero di energia. Un modo di vivere improntato agli antichi valori del "quod sufficit" (basta il giusto), della sobrietà e della responsabilità.

I discorsi degli economisti, tesi a dimostrarci la necessità di una crescita economica continua e illimitata, non ci convincono più. Siamo stanchi di essere schiavi di un'economia che, trasformatasi da mezzo in fine, ci rende schiavi, numeri anonimi, rotelle dell'ingranaggio produttivo. Molti di noi sentono sempre più forte l'esigenza di sottrarsi alla tirannia del PIL, per vivere una vita più in sintonia con i propri bisogni autentici. Ci stiamo accorgendo di sprecare spesso la nostra risorsa più preziosa, il tempo, in attività alienanti. Lo sviluppo tecnologico "le macchine" ci permetterebbero già da ora, in una società più giusta, di trasformare il tempo di produzione in tempo di vita, in ozio creativo.

Forse per vivere una vita meno frenetica e più equilibrata, basterebbe soltanto smetterla di lasciarsi sedurre dalle sirene della pubblicità e, come fece Socrate condotto al mercato, esclamare davanti alla pletora di merci ed oggetti in esposizione, "Quante cose di cui posso fare a meno!"

Riferimenti bibliografici:
Galdo, A., Non sprecare. La vita, il corpo, le risorse, il cibo, le parole... Viaggio tra i pionieri di un nuovo stile di vita, Torino, Einaudi, 2008
Segrè, A., Basta il giusto (quanto a quando). Lettera a uno studente sulla società della sufficienza. Manifesto per un nuovo civismo ecologico, etico, economico, Milano, Altraeconomia, 2011
www.nonsprecare.it
www.andreasegre.it

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Pagina aggiornata il 03.04.15
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