L’adolescenza o “età minorile” può accompagnarsi a comportamenti criminali. Le baby gang sono bande composte da giovani o giovanissimi dediti a compiere violenze che si estendono da atti di bullismo e di vandalismo a furti ed aggressioni sessuali. Spesso persino dei bambini possono essere coinvolti nel fenomeno delle baby gang, ormai non più confinato alle periferie urbane degradate, ma che coinvolge ragazzi in apparenza integrati, provenienti da famiglie “perbene”. Si tratta di un problema sociale serio che va affrontato, prevenuto e possibilmente risolto.

La cultura occidentale insiste molto sul concetto di individuo, ma è innegabile che ciascuno di noi entra in relazione con gli altri e la psiche di ognuno accoglie interi mondi che la formano e la condizionano sia in senso positivo che negativo. L’Io appare ormai sempre più una finzione, una convenzione, il frutto comunque di una complessa interazione con il mondo esterno.
Ne consegue che gli individui possiedono la tendenza ad aggregarsi in gruppi, dove si supera l’individualità, dove predomina il Noi, dove l'Io si espande e assorbe forza dagli altri componenti del gruppo. Esempi di gruppo sono la famiglia, l’esercito, una squadra di calcio, un'orchestra, una classe scolastica. In tutti questi casi si assiste a una perdita, almeno parziale, dell’individualità.

Per gli adolescenti rivesta grande importanza il gruppo dei pari. Quando però all’interno del gruppo dei pari, si afferma un leader unico, fisso, attivo, mentre gli altri assumono un ruolo gregario, il gruppo si trasforma facilmente in branco. L’adolescente solitamente attraversa un periodo in cui per assumere una propria identità e trovare una propria autonomia si pone contro le regole imposte dalla famiglia e a cascata alle norme della scuola e della società, vissute come nemiche. Al perseguimento del bene può subentrare il fascino del male, del potere e del dominio, che può portare al non rispetto per la vita e persino all’omicidio.

Scrive lo psichiatra Vittorino Andreoli, in un libro dedicato ad analizzare dettagliatamente il fenomeno delle baby-gang:

“Credo che appaia evidente come la condizione dell’adolescenza metta in conflitto due gruppi: quello familiare-scolastico e quello dei pari età”.

Nella società contemporanea il denaro è diventato, nell’opinione comune, la misura di tutte le cose. Gli adolescenti possono concepire la mancanza di denaro come un dolore pungente. Una delle attività cui si può dedicare una baby gang è appunto quella di procurarsi del denaro, tramite furto diretto (portafogli) o furto di oggetti (in supermercati, negozi, concerti ecc.). Il tutto viene vissuto come un gioco. Viverlo come gioco permette ai singoli di allentare i freni inibitori. In gruppo infatti si arriva ad eseguire azioni che il singolo ragazzo da solo non compirebbe mai.

Quando il branco agisce una violenza sessuale il movente psicologico è, piuttosto che il piacere carnale, un domino completo e violento sulla donna.

Nel caso del bullismo si compiono atti di sopraffazione contro chi si percepisce come più debole, atti che possono passare dalla derisione alla violenza fisica. Il bullismo, praticato in gruppo, sembra esprimere il tentativo, illusorio, violento e inaccettabile, di superare la fragilità e la debolezza percepiti interiormente.

Nel vandalismo si distruggono cose. Spesso si distruggono oggetti che appartengono al pubblico, alla comunità, manifestando così il proprio disprezzo. Il movente delle gang appare quello di superare l’emarginazione e le frustrazioni esistenziali, esprimere la propria rabbia ed esercitare un dominio sulle cose e, conseguentemente, sulle persone.

Alla violenza delle baby gang è inutile rispondere con la violenza e il terrore istituzionali. Occorre invece prestare attenzione alla questione giovanile, incoraggiare gli adolescenti ad esprimere i propri desideri, dietro i quali si possono celare le loro inclinazioni. Invitando allo stesso tempo a considerare che i propri desideri vanno sempre contemperati con i desideri dell’altro, degli altri. Ecco, occorre dare maggiore enfasi al Noi rispetto all’io, all’insieme sociale, alla comunità. Alla violenza delle baby gang è efficace rispondere con un progetto educativo, fondato sulle scienze dell’uomo.
L’educazione dei ragazzi deve allora sforzarsi di essere flessibile, non è qualcosa di fissato una volta per sempre, ma deve tenere conto delle vorticose trasformazioni sociali e dei cambiamenti epocali sempre più ravvicinati.

Insegnare a vivere: questo è lo scopo dell’educazione. Se qualche generazione fa il compito della scuola era quello di sconfiggere l’analfabetismo, oggi è quello di insegnare a vivere. Occorre educare il pensiero e l’affettività, non escludendo dal processo di apprendimento le tecnologie digitali, nei confronti delle quali molti insegnanti sono purtroppo ancora scettici.

Sul versante dell’affettività la scuola deve insegnare a “resistere” alle difficoltà, ad accettare e vivere il dolore che l'esistenza stessa comporta. Le frustrazioni e le sconfitte sono invitabili, così come bisogna essere in grado di accogliere la gioia per le vittorie e i successi conseguiti. Nel complesso, la scuola deve creare un ambiente in cui ognuno possa manifestare, accolto, la propria personalità. Va promossa la lettura, che rimane lo strumento sovrano per stimolare il pensiero, l'immaginazione e la creatività.

Gli insegnanti hanno un compito delicatissimo; per tale motivo dovrebbero sottoporsi a un processo di formazione continua.
A scuola andrebbero educati dunque pensiero (arricchimento del sapere, incremento della conoscenza) e affettività (emozioni e sentimenti). Altre due parole importanti sono relazione e imitazione. L’insegnante deve diventare un Maestro, che sa relazionarsi con la classe e che rappresenta un modello da imitare.

Nel processo educativo che mira all’insegnare a vivere, un ruolo fondamentale lo gioca, oltre alla scuola, la famiglia, dove le relazioni sono guidate dall’amore. All’interno della famiglia l’adolescente sperimenta l’affetto, ma anche la malattia e il dolore. Si tratta di esperienze che favoriscono la maturazione cognitiva ed emotiva.

In conclusione, l’educazione, che si risolve nell’insegnare a vivere, deve richiamarsi al concetto di “umanesimo”. Di essa debbono far parte la consapevolezza che ciascuno di noi porta delle fragilità, che possono essere superate soltanto nell'incontro e nella cooperazione con l’altro. E non si deve aver paura, anche nella nostra epoca, di avvicinare gli adolescenti ai concetti di sacro, di mistero e di trascendenza.

Riferimenti bibliografici:
V. Andreoli, Baby gang. Il volto drammatico dell'adolescenza, Milano, Rizzoli, 2021