Il mondo contemporaneo sembra continuamente accelerare il passo. Se da un lato l'accelerazione dei cambiamenti provoca ansia, angoscia, vertigine e timore per il futuro, dall'altro genera eccitazione, esaltazione, speranza. Sotto sotto confidiamo che il dinamismo tipico dell'ipermodernità, il rapido e vivace susseguirsi di idee, progetti, visioni ci prepari ad un futuro in cui la nostra esistenza sarà migliore.

La velocità con cui mutano scenari e situazioni comporta l'esigenza di stare al passo con i tempi, per non perdere le buone occasioni, per garantirsi una migliore qualità della vita, per condurre un'esistenza in linea con le nostre esigenze e aspettative, per realizzare pienamente i nostri talenti.

In un contesto di questo genere, apprendere, imparare, formarsi, studiare appaiono attività sempre più importanti e decisive per non farsi tagliare fuori dal meglio che la vita può offrirci. Se una caratteristica distingue la nostra specie è proprio quella di imparare. "Imparare è il talento maggiore del nostro cervello" sostiene il neuroscienziato cognitivo francese Stanislas Dehaene. Imparare può anche costituire un'attività molto piacevole, aggiungerei.

Grazie alla sua flessibile capacità di imparare e alla sua sete di conoscenza l'uomo ha abbandonato la savana e ha attraversato deserti, montagne, oceani, ha costruito macchine meravigliose e sorprendenti e opere di ingegno (letterario, artistico, scientifico, filosofico, ecc.) di incomparabile bellezza.

Perché le nostre potenzialità di apprendimento vengano realizzate compiutamente, affinché i nostri circuiti neuronali funzionino al massimo, il nostro cervello ha bisogno di stimoli adeguati. A tal fine le società umane hanno inventato la scuola, un'istituzione che si propone di incrementare le informazioni e le competenze di cui disponiamo.
La gran parte di noi, tramite la scuola, ha imparato a leggere, scrivere, calcolare, ha appreso la musica, l'algebra, ha sviluppato il senso del tempo e dello spazio, ha affinato la memoria, fino a giungere alle vette del pensiero astratto.

Tuttavia, proprio nel nostro periodo storico, in cui apprendere costituisce un'attività sempre più strategica ai fini del benessere non solo economico, ma umano in generale, l'istituzione-scuola mostra la corda, appare in crisi, sembra non più in grado di rispondere adeguatamente alla domanda e al bisogno diffusi di conoscenza. Rinchiusi nelle aule scolastiche, soggetti all'obbligo di sottostare ad orari e programmi standardizzati e prestabiliti, il piacere di apprendere si affievolisce o svanisce del tutto. Nel momento stesso in cui quasi tutti gli esperti convergono nel riconoscere che la motivazione, l'attenzione, la passione e dunque il piacere sono strettamente collegati e necessari per un apprendimento proficuo e durevole nel tempo.

Diciamocelo francamente: la rivoluzione digitale ha sparigliato le carte, ha messo il turbo alle possibilità di insegnare ed apprendere, ha cambiato il paradigma dell'imparare.

Non che la scuola non fosse oggetto di critica anche nei secoli scorsi. Molti filosofi, letterati, statisti e scienziati si sono formati fuori dal circuito scolastico tradizionale, criticandone il funzionamento. Basti pensare ad Hermann Hesse, a George Orwell, a Thomas Bernhard, a Benedetto Croce, a Giovanni Papini. Quasi tutta la letteratura italiana del Novecento si è tenuta alla larga dalle università. Numerosi esperti, innovatori in vari campi e imprenditori hanno raggiunto il successo economico e sociale eludendo aule e credenziali scolastiche. L'autoformazione, l'incontro informale con maestri significativi e autentici, liberamente scelti, la lettura, i libri, l'esercizio personale della riflessione e del pensiero critico, le esperienze di vita hanno costituito per molti, nel passato, una palestra culturale più significativa della scuola.

Oggi i luoghi del sapere si sono moltiplicati. La struttura a rete di internet consente di consultare risorse infinite, di interagire con gli altri secondo le proprie passioni ed interessi, di imparare in modo nuovo. Le stesse scuole e università cercano di sperimentare modi innovativi di insegnare e di interagire con gli studenti. Molto dell'apprendimento odierno avviene online, le università si fanno concorrenza offrendo i cosiddetti MOOC, la formazione e l'aggiornamento professionali sfruttano con profitto (e lo faranno ancora meglio in futuro) la formazione a distanza.

Nelle librerie cominciano ad apparire ponderosi saggi in cui si mettono in discussione i sistemi scolastici e le credenziali che rilasciano a chi li frequenta, sino ad affermare che stiamo pericolosamente sopravvalutando l'istruzione formale impartita dalle nostre scuole.

Mai come oggi sull'educazione, la formazione e l'istruzione il dibattito è stato così acceso. Si scontrano visioni culturali ed economiche e indirizzi pedagogici, i più disparati. È segno che la nostra società presta giustamente una grande attenzione alla questione dell'apprendimento e alla sua organizzazione. "Grande è la confusione sotto il cielo e quindi la situazione è eccellente" affermava un grande condottiero del secolo scorso. Ed è così, a mio avviso, anche nel caso dell'istruzione.

Penso che il futuro ci riserverà la fine dell'egemonia di un solo modo di strutturare l'apprendimento. Le scuole tradizionali, opportunamente riformate e rinnovate, saranno affiancate da altre agenzie educative, pubbliche e private. L'istruzione diventerà personalizzata, flessibile, libera, distribuita su tutte le età della vita. Verrà restituito al singolo individuo il potere di decidere quando e come formarsi e su quali contenuti. Verranno valorizzati tutti i tipi di intelligenza e abilità. Il ruolo dell'insegnante andrà incontro probabilmente a radicali mutamenti. Si andrà verso una educazione diffusa, non più confinata nella dimensione claustrofobica dell'aula. Ogni momento della vita di ciascuno di noi, ogni esperienza potrà essere trasformata in occasione di apprendimento. Esami e valutazioni seguiranno un altro iter. D'altronde lo sapevano già gli antichi: "Non scholae, sed vitae discimus" ("Non impariamo per la scuola, ma per la vita"), scriveva Seneca nelle Lettere a Lucilio. A quella saggezza forse è il caso di ritornare.