Tra i bisogni più diffusi nella società contemporanea spicca senz'altro quello di essere amati, ammirati, riconosciuti. Pensiamo di poter soddisfare tutto ciò attraverso il conseguimento di uno status elevato. Si definisce come status la posizione dell'individuo nella società. Esso è oggi particolarmente influenzato dalla professione che si svolge e identifica il valore che un individuo assume al cospetto degli altri.
Gli effetti di una posizione sociale elevata sono gratificanti. Abbiamo denaro, libertà, spazio, tempo, agiatezza, ma soprattutto proviamo la sensazione di essere amati e stimati. Una posizione sociale elevata è dunque uno dei beni oggi più ambiti. Considerazioni circa una carenza del proprio status danno origine a sofferenze psicologiche, inquietudini, ansie, drammi interiori molto frequenti. Si vorrebbe essere stimati e riconosciuti, godere del rispetto degli altri, "essere qualcuno", non risultare un "perdente", un "nessuno", un essere insignificante che si tratta con indifferenza se non con disprezzo.
Per acquisire uno status elevato siamo disposti a ingaggiare una lotta quotidiana senza quartiere, che vede gli altri come antagonisti, ostacoli al successo, possibili traditori. La vita lavorativa nelle aziende e talvolta persino la vita scolastica finiscono così per assomigliare alla vita delle antiche corti, piene di intrighi, di favoritismi, di pugnalate alle spalle, di adulazione nei confronti dei potenti, di coloro cioè che possono decidere del nostro destino.
Tutto questo rivela che la considerazione che abbiamo di noi stessi dipende in gran parte dall'opinione che gli altri hanno di noi. Ma è saggio tutto ciò? Si direbbe di no, almeno a giudicare dalle biografie di grandi pensatori come Socrate, Diogene e Gesù, ma anche leggendo il fiore della saggezza occidentale, autori come Montaigne, Schopenhauer e Chamfort, soltanto per citarne alcuni.
L'Occidente ha conosciuto, dopo la Rivoluzione industriale, un grande progresso materiale, che ha coinvolto larghi strati della popolazione. Purtroppo a tale incremento di beni materiali non ha corrisposto un aumento della soddisfazione individuale e del benessere psicologico. La vita di molti si svolge nella morsa dell'incertezza, nel timore di non essere all'altezza delle aspettative proprie e altrui, nella paura di perdere quanto faticosamente conquistato, nel confronto invidioso con vicini, colleghi e amici di infanzia.
Crollata in Occidente la fede religiosa, oggi siamo concentrati sul qui e ora, convinti (ci convincono i media) di vivere in una società meritocratica dove il successo o il fallimento dipendono esclusivamente da noi, mentre in verità molto possono ancora la fortuna, le opportunità, l'organizzazione o azienda per cui lavoriamo, l'andamento dell'economia. La società moderna ha come valori portanti il prestigio, il denaro e il successo. Sono i valori propagandati dalla classe dominante, a difesa dei propri interessi. Se manchiamo questi tre obiettivi, di frequente reagiamo provando un senso di umiliazione e di vergogna.
Come si può uscire da questo stato di prostrazione psicologica, da questo circolo vizioso che condanna i più all'infelicità? Innanzitutto mettendo in discussione i valori dominanti. Capendo che le persone di successo possono essere individui mediocri e non di rado infelici. Comprendendo che il merito, se è una dimensione difficile da valutare riferendosi a una prestazione lavorativa, diventa impossibile da valutare se si allarga il campo di indagine. Non esiste infatti una misura quantitativa attendibile per stabilire il valore di una persona nella sua totalità. Ci sono persone di condizione sociale modesta che hanno ricchezza e complessità interiori e individui ricchi e potenti, corrotti, immorali, privi di scrupoli e di immaginazione.
Riporre la propria autostima nel giudizio che gli altri danno di noi costituisce un azzardo esistenziale immotivato. La maggior parte delle persone giudica la vita degli altri senza conoscerla a fondo, spesso sulla base di pregiudizi e di opinioni totalmente infondate. L'unico tribunale cui dobbiamo rispondere è la nostra coscienza interiore, consapevoli che siamo esseri umani imperfetti, soggetti all'errore, per cui dobbiamo sforzarci di essere critici con noi stessi, ma nello stesso tempo comprensivi e clementi.
Occorre inoltre non coltivare ideali eccessivamente perfezionistici, ma ridurre le nostre aspettative. Soprattutto è necessario che riordiniamo le nostre priorità. Desideriamo l'autorealizzazione, il vivere secondo le nostre inclinazioni, i nostri ritmi e i nostri talenti naturali o vivere una vita impersonale tesa unicamente al conseguimento dei segni esteriori del successo, che non di rado procurano a chi li raggiunge noia e delusione interiore?
Per superare le nostre ambasce circa il nostro status carente possiamo utilizzare la letteratura e l'arte, che sono in grado di criticare la vita, avvolgendoci in un'atmosfera di bellezza. E possiamo rivolgerci alla filosofia, con la capacità di indagare la nostra vita alla luce della ragione, della logica e della saggezza.
Scopriremo così che la vita quotidiana, in apparenza banale, può riservarci gioie, meraviglie, felicità, profondità inesplorate, che troppo spesso la rincorsa al successo esteriore ci impedisce di provare.
Riferimenti bibliografici:
A. De Botton,
L'importanza di essere amati. L'ansia da status,
Parma, Guanda, 2004
G. Pietropolli Charmet,
L'insostenibile bisogno di ammirazione, Bari-Roma, Laterza, 2018