L'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro nel ciclo di studi secondario, ridenominata nel 2018 PCTO, ha creato non poche perplessità e resistenze. Per lo più giustificate. La realizzazione pratica della legge ha presentato non poche difficoltà, sia nella pianificazione di un'esperienza davvero significativa per gli studenti, sia nell'individuazione delle aziende adatte a favorire tali esperienze. Il giudizio, tuttavia, su un provvedimento per certi versi rivoluzionario, non può essere definitivo e basarsi soltanto sulle false partenze iniziali.

Molti, studenti e soprattutto docenti, hanno manifestato un'opposizione al provvedimento su basi ideologiche. Numerose voci critiche hanno rimarcato che il termine scuola ha un'etimologia greca che lo avvicina molto al termine latino otium, cioè "libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico". Impiegare gli studenti in una formazione che invece riguarda le categorie dell'"utile" e dell'"economico" costituirebbe un uso improprio e controproducente del tempo scuola.

La scuola - sottolineano gli oppositori dell'alternanza - non può sottomettersi a logiche aziendaliste. La scuola, in un periodo delicato come è quello dell'adolescenza, deve essere incentrata - secondo i detrattori di un precoce quanto parziale inserimento lavorativo - sullo studio di varie discipline teoriche e deve concentrarsi sulla costruzione della personalità dello studente sia come individuo che come cittadino.
Si tratta di argomentazioni valide.

Tuttavia bisogna riconoscere che l'impianto della scuola italiana, che molti definiscono gentiliano - da Giovanni Gentile (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944), importante filosofo italiano del Novecento, ispiratore di una epocale riforma della scuola -, risale ancora più indietro, alla legge Casati (Gabrio Casati, Milano 1798 - ivi 1873), in pieno Ottocento. L'Italia era all'epoca, per molti aspetti, un Paese molto diverso da quello attuale. Era una società in larga parte agricola, con un tasso elevatissimo di analfabetismo. La scuola era frequentata ai tempi da pochi privilegiati.

Lo scenario è oggi radicalmente mutato. L'Italia non è più un Paese prevalentemente agricolo e l'analfabetismo, quello duro di chi non sa leggere, né scrivere, né far di conto è stato eradicato. La scuola è diventata una istituzione di massa, non più il luogo di formazione esclusivo della classe dirigente. Qualche ammodernamento andrà pertanto introdotto.
Le teorie pedagogiche più aggiornate (ma anche la pedagogia degli antichi!) suggeriscono che l'apprendimento più importante sia quello che prepara lo studente alla vita. E il lavoro fa ancora parte, salvo per alcune minoranze, della realtà della vita, ne è ancora una componente essenziale (anche se, secondo me, non l'unica), capace di conferire autonomia e autostima. Secondo Sigmund Freud (Freiberg, Moravia, 1856 - Londra 1939), per esempio, lavoro e amore sono i due grandi campi in cui si gioca la partita della nostra esistenza e della nostra salute mentale. Gli studenti e le famiglie chiedono alla scuola che essa offra ai ragazzi un vantaggio concreto nell'inserimento futuro nel mondo del lavoro. Di questo occorre tenere conto.

Altrimenti l'aula scolastica rischia di assomigliare al palazzo reale in cui il principe Siddartha veniva rinchiuso e protetto, impedendone però il completo sviluppo. Il Buddha ebbe l'illuminazione e quindi raggiunse la piena maturità quando si avventurò fuori dalle mura protette della reggia. Così allo studente non può fare che bene un contatto con il mondo del lavoro, osservandone da vicino le logiche e le dinamiche che lo governano, qualche volta in contraddizione con quelle scolastiche. Può farsi un'idea di cos'è una fabbrica, un ufficio, una biblioteca, un museo, uno studio professionale, una multinazionale, una piccola impresa, di come funzionano.
Oggi abbiamo ministri che arrivano al Governo senza avere alcuna esperienza del mondo produttivo e purtroppo ciò ne condiziona negativamente l'operato, facendoli apparire fuori posto, disorientati.

Nelle aziende, lo studente può vedere all'opera intelligenze che non sono soltanto quella logico-matematica, che tanto successo riscuote nella scuola, ma forme di intelligenza più pratiche ed altrettanto importanti. Può comprendere che esistono delle hard-skill (competenze tecniche, saper fare) e delle soft-skill (spirito critico, capacità comunicativa, creatività, capacità di pianificare e organizzare, attenzione ai dettagli, spirito d'iniziativa, capacità di lavorare in gruppo ecc.), che nel mondo esterno sono apprezzate spesso più dell'erudizione libresca (che è pur sempre un'eccellente qualità!). Può in definitiva fare un'esperienza che si rivelerà proficua nel prosieguo della sua esistenza e che magari lo porterà a fare scelte di vita e di studio più ponderate.

Purché naturalmente le realtà lavorative dove lo studente andrà inserito vengano selezionate, offrano garanzie di serietà, affianchino allo studente un tutor aziendale, oltre al tutor didattico. Magari si potrebbe rendere l'alternanza scuola-lavoro facoltativa con un premio per chi partecipa al progetto. Tra l'altro, le organizzazioni stesse, ospitando i ragazzi, potrebbero essere stimolate a migliorare e ad offrire la versione migliore di se stesse. Nella vita si tratta sempre di rapporti dialettici, bidirezionali. Il contatto quotidiano con la gioventù e con il mondo della scuola potrebbe stimolare la creazione di idee nuove e migliorare pertanto la capacità di apprendimento delle stesse imprese.

Insomma, io penso che scuola e mondo del lavoro non devono essere entità separate, ma porose e che, aprendo le aule a contesti esterni, la scuola e il mondo del lavoro, due realtà che oggi non si parlano o si parlano poco, ne abbiano soltanto da guadagnare.

Riferimenti bibliografici:
Asvaghosa, Le gesta del Buddha, Milano, Adelphi, 1993
L. Berlinguer, La scuola nuova, Bari-Roma, Laterza, 2001
H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell'intelligenza, Milano, Feltrinelli, 2013
C. Giunta, A. Mezzadrelli, Cuori intelligenti. Modelli di scrittura, Novara, De Agostini Scuola, 2019
A. Scotto di Luzio, La scuola degli italiani, Bologna, Il Mulino, 2007
S. Cianciotta, Mettere la scuola al lavoro, "Il Foglio", 15 gennaio 2017

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