Se ci volgiamo al passato, in Italia un modello così è esistito e si rifà al nome di Adriano Olivetti. Nato a Ivrea nel 1901 (morirà giovane, a cinquantanove anni, nel 1960), prese le redini dell’azienda di famiglia fondata dal padre Camillo e la trasformò in una delle imprese più all’avanguardia del mondo. Preoccupato non soltanto di fare profitti, ma del benessere dei suoi dipendenti e dello sviluppo del territorio circostante, Olivetti cercò di coniugare l'efficienza della produzione con la bellezza dei prodotti e l’armonia organizzativa. La fabbrica che produce macchine per scrivere e da calcolo che per design e funzionalità sbaragliavano la concorrenza, divenne ben presto molto di più di uno stabilimento produttivo. Si trasformò nel volano di sviluppo economico e culturale di un intero territorio, il Canavese, che diventò una realtà assai più organica e avanzata degli attuali distretti industriali.
La Olivetti era un'azienda estremamente dinamica, nello stesso tempo locale e internazionale, con sedi e insediamenti produttivi sparsi in tutto il mondo. In anticipo sui tempi, l'ingegnere intuì l'importanza dell'informatica e gli stabilimenti di Ivrea arrivarono a produrre uno dei primi computer al mondo, Elea, realizzato interamente con transistor. Adriano Olivetti pensava in grande e seppe circondarsi non soltanto di valenti ingegneri, di operai, tecnici e impiegati motivati, ma anche di umanisti, di letterati e di scienziati sociali. Una scelta che oggi sembrerebbe avveniristica. Creò una casa editrice che pubblicava importanti testi stranieri di sociologia e psicologia, contribuendo a sprovincializzare il clima culturale del Paese. Fece nascere centri culturali e sociali, aprì moderne biblioteche, organizzò corsi e conferenze.
Nell'azienda che egli dirigeva, riguardo alla selezione del personale, non si badava tanto a titoli e curriculum e numerosi furono i semplici operai che, lavorando e studiando, assursero a posizioni dirigenziali, quando non furono protagonisti nell'elaborare il progetto di macchine innovative. Emblematico il caso di Natale Capellaro, che entra come operaio all’Olivetti e si rivela un eccezionale progettista e realizzatore di nuove macchine, conseguendo da autodidatta la laurea honoris causa in ingegneria. Non si licenziavano i lavoratori per aumentare i dividendi degli azionisti, ma il posto di lavoro, già a partire dal capostipite Camillo, era considerato dalla dirigenza sacro.
Gli intellettuali che ruotano attorno all’ingegner Olivetti non si comportano da tecnocrati, non impongono dall’alto alla popolazione ciò che essi ritengono siano le soluzioni migliori, ma prestano attenzione ai bisogni dei loro interlocutori nella fabbrica e sul territorio. L’industria di Ivrea si mostrava particolarmente sensibile al benessere e alla qualità della vita delle proprie maestranze. Non solo elargiva salari elevati, ma finanziava scuole, asili, colonie, gruppi sportivi, servizi medici, uffici di assistenza sociale, unità abitative, servizi di trasporto. Un prototipo di welfare aziendale ammirato ancor oggi.
L'imprenditore, nella visione utopica di Olivetti, non si limitava ad ottimizzare i ricavi, ma era impegnato moralmente nello sviluppo umano, civile e culturale dei propri dipendenti, rispondeva del loro benessere, si impegnava a far crescere non soltanto un’industria quanto un'intera comunità. Una concezione dell’attività economica totalizzante e purtroppo desueta ai giorni nostri. Un modello realizzato di “impresa responsabile”, secondo la definizione che dà dell’Olivetti il sociologo Luciano Gallino, che in tale azienda lavorò per decenni.
Certo, forse i tempi sono cambiati e la spietata concorrenza indotta dalla globalizzazione lascia probabilmente pochi margini a ideali che vadano oltre il mero calcolo economico. Eppure, la crisi in cui versa oggi il nostro Paese, non è soltanto economica, ma di valori. Restituire all’economia il ruolo di mezzo e non di fine e, sull'esempio di Olivetti, ridare significato e dignità al lavoro umano non appaiono più obiettivi irrealistici e procrastinabili.
Riferimenti bibliografici:
Ferrarotti, F.
La concreta utopia di Adriano Olivetti, Bologna, EDB, 2016
Gallino, L.
L'impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti,
Torino, Einaudi, 2014