
La donna procede esclusivamente a piedi, magrissima, sporca, i vestiti laceri. Non parla, dorme in giacigli di fortuna e gliene succedono di tutti i colori. Nonostante sia visibilmente in difficoltà viene ignorata, insultata, stuprata. Gli unici che le manifestano un minimo di solidarietà sono gli ultimi, le vite di scarto, i poveri cristi come lei: le prostitute, gli immigrati, un vecchio che vive solo, riparando ogni genere di oggetti.
Quando incontra Dimà, un ragazzo ucraino originario di Chernobyl che si sostiene svolgendo i più svariati mestieri, Vera riacquista fiducia e riprende, se non ad aprirsi, a parlare. La donna sale sul furgone di Dimà (diminutivo di Dimitri), lo accompagna a consegnare e prelevare merci. Insieme raggiungono il Delta del Po e pranzano in un ristorante. Poco dopo, all’altezza di Ferrara, hanno un brutto incidente stradale, che provoca la morte di un uomo. Fuggono per i campi - Dimitri è uno straniero irregolare, non ha i documenti - e raggiungono l’argine del fiume.
Vera ha un segreto inconfessabile da comunicare a Dimitri: intrappolata in una vita che non riconosce più come sua, la donna va in cortocircuito psichico ed accoltella il marito, forse un po’ troppo conformista e prevedibile, uno square insomma. Questo è il motivo della sua fuga e del peregrinare allucinato sulla Provinciale. Attenzione però: la vicenda non termina qui; il romanzo, nel finale, riserva nuove agnizioni e colpi di scena.
Strada Provinciale Tre mette in scena criticamente il progresso, la modernizzazione, la trasformazione accelerata della pianura padana. Un mondo nuovo, convulso e spietato, inquinato e rumoroso, ha scalzato l’antico mondo contadino. Si tratta di un mondo soffocante, fatto di “regole, obblighi, codici, orari”, di esistenze che si trascinano monotone e grigie, irreggimentate in una ripetizione continua degli stessi gesti e dei medesimi meschini calcoli.
Capannoni, villette geometrili, cartelloni pubblicitari, supermercati, un nastro ininterrotto di asfalto fetido percorso da camion veloci e digrignanti hanno sfigurato la campagna, sventrandola, hanno distrutto un modo di vivere forse più povero e lento, ma sicuramente meno indifferente.
Nel suo racconto on the road la Vinci denuncia l'alienazione del vivere contemporaneo, che vede nella ribellione e nella follia le uniche possibili vie di riscatto. Soprattutto sa rendere con efficacia, usando tonalità cupe, la desolazione e la violenza del nuovo paesaggio urbano, un paesaggio deturpato e offeso, che riflette la desertificazione interiore dei suoi abitanti.