copertina libroSe qualcuno vuole sperimentare una salutare indignazione civile deve leggere assolutamente questo libro. Roberto Perotti, economista della Bocconi, già consigliere del Governo sulla spesa pubblica, affronta in un saggio ben documentato, ricco di cifre e tabelle (che fa il paio con La lista della spesa dell’ex commissario Cottarelli) il tema del contenimento della spesa statale.

La descrizione che egli traccia è quella di un mondo di privilegi, di compensi stratosferici fuori mercato, di dirigenti superpagati e di inerzia, superficialità, approssimazione e noncuranza di chi deve invece governare, amministrare e controllare. Diciamo che dall’Unità d’Italia in poi, il quadro dei vizi italici è rimasto desolatamente invariato, con le élite che si dimostrano inadeguate al compito di guidare il Paese nell’interesse generale.

I nostri politici, direttori di Asl, diplomatici, magistrati, dirigenti ministeriali, dirigenti di partecipate guadagnano cifre che superano quelle che percepiscono gli omologhi di nazioni più progredite della nostra, i quali in cambio però forniscono ai cittadini prestazioni e servizi qualitativamente e quantitativamente migliori. Per soprammercato abbiamo una pletora di dirigenti pubblici, che supera i 100mila euro di compenso annuale, che non esiste così numerosa in nessun'altra parte del mondo civile. Di fronte alle comprensibili proteste dei cittadini la nostra classe dirigente reagisce con indifferenza, quando non con aperto sarcasmo.

Cinema, giornali, ippica e imprese godono di sovvenzioni statali superiori a quanto avviene nelle altre nazioni. La Rai costa più della BBC, per fornire al contribuente prestazioni più scadenti.

Secondo Perotti manca una visione precisa di quali siano le priorità, una metodologia di lavoro seria e un approccio globale al problema della spesa pubblica. Lo status quo continua a non essere toccato. Mentre si trascina un evidente e drammatico problema di cattiva allocazione delle risorse.

Nonostante il Paese navighi da anni sull’orlo del baratro. sembra che a pochi soltanto, in Italia, interessi rimboccarsi le maniche e lavorare per confrontare dati, stabilire limiti, imporre decisioni razionali. Manca la voglia di confrontarsi in ogni campo con le migliori pratiche ed esperienze internazionali. Prevalgono, come al solito, il pressappochismo e gli smaccati interessi di parte. Chi è dentro il sistema sembra disinteressarsi di chi è rimasto fuori, di chi è disoccupato o parte da condizioni svantaggiate. In questo modo i soldi pubblici vengono mal distribuiti. Invece di sostenere le fasce più deboli della popolazione, il denaro stanziato per contrastare la povertà va a chi non ne ha bisogno. Lo Stato finisce, cioè, per comportarsi come un Robin Hood alla rovescia: ruba ai poveri per dare ai ricchi

L’Italia non ha un programma organico e strutturato contro la povertà, bensì una moltitudine di iniziative scollegate fra loro, che spesso finiscono per dare soldi a chi non ne ha bisogno mentre non riescono a raggiungere i veri indigenti.

Perotti demolisce come insostenibile il reddito di cittadinanza proposto da alcune forze politiche:

Una misura del genere è costosissima (600 euro mensili per 60 milioni di italiani significano 430 miliardi all’anno, oltre la metà dell’intero bilancio dello stato attuale); ed è un enorme spreco di risorse dare 600 euro al mese a un professionista affermato.

Così continuiamo a finanziare enti inutili, amministrati secondo logiche clientelari, mentre la macchina dello stato viene (mal)gestita da burocrati che sembrano usciti da un racconto di Gogol'. Prevale nell’amministrazione della cosa pubblica un approccio "legalistico-sindacale". Superfluo sottolineare che organismi inutili o malamente amministrati pesano ingiustamente sulle spalle del contribuente.
Invece di curare gli affari dello Stato secondo il rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, in Italia prevalgono i bizantinismi giuridici, il “giuridichese” che, secondo Perotti, “esiste solo nella tradizione amministrativa italiana”.

Per ridurre efficacemente la spesa pubblica sarebbe necessario, secondo l’economista della Bocconi, l’intervento diretto e deciso del Presidente del Consiglio e dei ministri interessati. Non si può lasciar fare a funzionari e dirigenti che hanno interessi che raramente coincidono con quelli del Paese. Meno convegni, annunci, interviste e congressi, dunque, e più lavoro duro sui dati e le informazioni. Vanno evitati i tagli lineari, in genere la soluzione più frequente, comoda e superficiale adottata da chi ci governa, ma la più ingiusta.
Al contempo, poco si è fatto per produrre più trasparenza nei bilanci pubblici. Spesso i dati pubblicati dai vari enti sono parziali e alla fine non utilizzabili.

Alla fine Perotti si è dimesso dal suo ruolo di consigliere sulla spending review, perché riteneva inefficaci le misure di contenimento che si era deciso di adottare. Mentre egli proponeva un taglio di 10 miliardi di spese improduttive, il governo si limitava a togliere, in modo probabilmente iniquo, due miliardi alla sanità.

Perotti sottolinea la necessità che il Paese proceda, pur con gradualità, ma con determinazione, sulla strada delle riforme. Naturalmente i problemi accennati non riguardano soltanto il Governo in carica, ma tutte le forze politiche, non escluse le opposizioni. Spesso, da più parti, si avanzano proposte demagogiche che invocano più spesa pubblica, adducendo nobili motivi. Ma, - ricorda l'autore del libro -, “i soldi non piovono dal cielo” e quindi di fronte a chi fa tali proposte di grandiose spese pubbliche “chiedetevi e chiedetegli: come intendi pagare? dove intendi trovare le risorse?”. La risposta sarà quasi sempre evasiva, subdola o sciocca.

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