copertina libroUna trentenne forse un po’ troppo pretenziosa e un quarantenne nemmeno tanto simpatico. Si incontrano per lo più nella camera di un albergo romano, che dà su Montecitorio, lontani dalle rispettive città. La stanza è appunto la 411. Altre volte si vedono in varie stazioni ferroviarie, in alberghi meno signorili, in bar e caffè, oppure a casa di lei o a casa di lui. Come tutte le bollenti storie d’amore romantico, anche questa finisce, lasciando vuoti, rimpianti e conseguenti elaborazioni del lutto. Il “noi” lascia spazio, senza apparente motivo, alla separazione e alla solitudine. Le strade di ciascuno si dividono e sopravvivono tutt’al più soltanto gli oggetti. Ancora una volta, come nella migliore tradizione decadente, la ricerca dell’eros si rivela un elemento di disordine.

Pubblicato dalla collana Stile Libero di Einaudi, Stanza 411 della scrittrice bolognese Simona Vinci (1970) segue il fortunato Dei bambini non si sa niente, l’esordio dell’autrice che nel 1997 costituì un caso letterario.
Racconta, sotto forma di lettera, l’incontro tra un uomo e una donna, l’amore vivisezionato, notomizzato, con le ansie, le attese, i fasci di aspettative che si proiettano sull’altro, le disillusioni, le reciproche nevrosi, i conflitti, le accuse, le violenze, gli errori, la noia, la rabbia, la libertà, l’abbandono.
Una storia d’amore narrata in prima persona, una vicenda personale che però ci riguarda tutti (“ogni verità singola - scrive la Vinci - appartiene a chiunque”), il vissuto di una donna innamorata che si interroga sul significato della coppia, del sesso, della vita.
Non una vera trama, un intreccio cronologicamente scandito, ma pensieri, sensazioni, ricordi che affiorano, quasi un flusso di coscienza che intende gettare luce su chi siamo e su cosa vogliamo.

Il libro si segnala per un uso accurato della lingua. Una scrittura sorvegliata, quella di Simona Vinci, mai banale o sciatta. Non mancano i riferimenti letterari colti, che impreziosiscono la narrazione.

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I libri di Simona Vinci