Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero, Laterza, 2010
C r i t i c a l |
![]() Persino gli intellettuali di sinistra e alcuni accreditati maitre a penser progressisti sfruttano senza rimorsi i perversi meccanismi del mercato, nonché i privilegi e le rendite di posizione garantite dall'esibizionismo mediatico. Se questa è la desolante realtà italiana, il mondo non se la passa meglio, anzi "i pericoli più radicali gravano sull'equilibrio umano e ambientale del pianeta". All'interno di questo quadro a tinte fosche, la letteratura è in pericolo, occupa un ruolo sempre più marginale, almeno la buona letteratura, quella problematica che sa rappresentare la realtà e coglierne i più minuti, ma significativi cambiamenti anche nelle apparenti inezie del vivere quotidiano. La produzione italiana contemporanea, quella di questo primo scorcio di millennio, sembra invece dominata da libri grigi, banali,
noiosi, "scritture
a perdere" appunto. Prevalgono etichette pretenziose e senza
senso (il New italian epic, per esempio), la narrativa noir
che niente aggiunge alla compiaciuta rappresentazione della violenza quotidiana,
di cui è già piena la cronaca nera dei giornali, oppure best seller
plastificati, sentimentali o poco ispirati, che tuttavia riscuotono ampia audience
presso il grande pubblico. La capacità del romanzo di raccontare la realtà pare esaurirsi,
mentre per Ferroni la forma letteraria più adatta a rappresentare i
nostri anni frammentati sembra il racconto, forse la poesia, oppure l'autofiction,
un genere per la verità non proprio nuovo, che mescola l'autobiografia
con elementi di finzione più o meno marcati. Nel capitolo centrale del suo libro, "Qualche strada praticabile: dal racconto all'autofiction", il critico romano snocciola l'elenco degli scrittori e dei libri da salvare, argomentando le proprie scelte: Saviano e Arbasino, Cavazzoni e la Ramondino, Vassalli e Affinati, Falco e Carraro e poi Martini, Pecoraro, la Grasso, Pascale, la Perrella, la Pariani, Pedullà, Trevisan, Scurati, Cordelli, Mari, Lagioia, Siti, Di Stefano, Moresco, Montesano, Debenedetti, Piperno e via elencando in ordine sparso. Sono loro, per l'autore di Dopo la fine, i migliori interpreti del nostro tempo, quelli che hanno contribuito a produrre una letteratura tesa all'interrogazione e alla conoscenza del reale. Perché questo rimane il compito della letteratura, anche negli anni a venire: "ricerca dell'essenziale, impegno nell'ascolto del mondo, cura per il suo destino, disposizione a dislocare l'invenzione e a toccare il cuore del linguaggio". Ci saranno nel nostro paese scrittori all'altezza di questa
necessità?
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Pagina aggiornata il 06.09.10 |