
Eccellente studente, il nostro ha accesso alle scuole d'elite: si laurea in Fisica, consegue un dottorato di ricerca, diventa ricercatore e professore universitario di Fisica. Con sincerità, Levy-Leblond riconosce che per la sua generazione era tutto più facile di adesso. La Francia destinava alla ricerca molti fondi e i ricercatori avevano carriere facili e rapide. Tuttavia, per avanzare nella carriera scientifica, generalmente il neolaureato deve abbandonare i propri interessi "umanistici". Levy-Leblond non lo fa del tutto, conserva un grande interesse per le questioni filosofiche ed epistemologiche.
Come ricercatore lavora sulla fisica delle particelle elementari al CERN di
Ginevra. L'esperienza è abbastanza frustrante. Il ricercatore deve costantemente scontrarsi con la dimensione del fallimento: il 90% del suo lavoro consiste nello
sbagliare, nel fare errori, nel fallire. Qualche volta la sua
attività produce un piccolo risultato.
Molto più gratificante risulta l'insegnamento. Il contatto umano con gli studenti, la
possibilità, insegnandola, di chiarire meglio a se stessi la materia stessa di cui ci si occupa,
convincono Levy-Leblond che è
sbagliato separare l'insegnamento dalla ricerca. Uno scienziato completo deve ricercare nuovi saperi e saperli trasmettere.
Un altro dei miti del nostro tempo che Levi-Leblond demolisce è quello dell'onnipotenza della scienza. Il trionfalismo attuale è piuttosto naif e andrebbe temperato da un maggiore culto dell'incertezza e della relatività. La scienza sembra scontrarsi con la resistenza che la materia offre a lasciarsi completamente disvelare. Siamo ancora lontani da una completa conoscenza dell'universo. Esiste una frattura irriducibile tra le spiegazioni generali dei fenomeni e la comprensione dettagliata dei fatti.
La ricerca del sapere avviene sempre in un contesto storico che la condiziona. Ai tempi di Galileo erano le concezioni religiose, oggi è la dimensione economica: "il successo pratico della fisica del XX secolo (elettronica, nucleare) tende ad assoggettarla a programmi a breve termine, a detrimento di progetti più speculativi". Da un po' di tempo i fondi destinati alla ricerca sono stagnanti un po' ovunque. Alcune ricerche considerate importanti sono bloccate da considerazioni del tipo costo/beneficio. Nell'epoca del capitalismo avanzato, anche la ricerca scientifica appare piegata alle esigenze del profitto.
Un tempo, dall'inizio della Rivoluzione scientifica (XVII secolo) all'inizio del XX secolo, scienza e filosofia marciavano appaiate. Galileo aveva una cultura ampia, Cartesio era filosofo e matematico ( le due discipline erano all'epoca indistinguibili), Maxwell conserva degli interessi epistemologici. Nel XX secolo la scienza divorzia dalla cultura in senso lato. Si tratta di una separazione drammatica. Il ricercatore si professionalizza e smette di porsi domande circa le implicazioni del suo lavoro.
La democrazia necessita che la scienza venga capita e perciò la divulgazione è molto importante. Attualmente la divulgazione scientifica è assai poco efficace. O si tende all'eccessiva semplificazione, oppure si scrivono testi incomprensibili. Sempre ci si fissa sulle ultime scoperte, destoricizzando la scienza. Eppure, se si vuole capire il pensiero scientifico, "credo occorra riprendere le idee, le teorie antiche sulla base delle quali sono state stabilite le teorie moderne. Sono assolutamente, intimamente convinto che non si possa comprendere la relatività di Einstein se non si comincia col passare molto tempo studiando Galileo".
Il buon divulgatore può essere uno scienziato, ma non necessariamente. Contrariamente alle attese di qualche decennio fa, la scienza non si è dimostrata in grado di risolvere i problemi materiali che ostacolano l'umanità. Gli scienziati accusano i politici di destinare poche risorse alla ricerca e l'opinione pubblica di essere antiscientifica, irrazionale, ignorante. In verità non esiste più questa distinzione netta tra la sapienza dello scienziato e l'ignoranza del pubblico. Lo scienziato stesso, al di fuori del suo sempre più ristretto campo di indagine, partecipa dell'ignoranza del pubblico. Quando si tratta di compiere delle scelte politiche complesse, l'opinione dello scienziato spesso non è più autorevole rispetto a quella del profano informato.
È sbagliato parlare di due culture, la cultura è una sola. E quella degli scienziati contemporanei è davvero troppo limitata. Non solo non capiscono le implicazioni sociali della loro attività, ma non comprendono a fondo nemmeno la loro stessa scienza. Una cultura frammentata è una non-cultura, incapace di sviluppare i necessari legami tra tutte le dimensioni dell'attività umana. La cultura "scientifica" si sta rivelando una cultura alienata, priva di memoria.
Non si può continuare a studiare, come si fa adesso, soltanto la scienza contemporanea. I problemi e le ricerche del passato non sono lettera morta, ma costituiscono ancora terreno fertile di sviluppo. Oggi si produce una mole impressionante di lavori scientifici di scarsa qualità metodologica, sperimentale e concettuale. Accanto a una conoscenza disciplinare specifica, i nuovi scienziati dovrebbero essere formati non soltanto sulla storia, ma anche in filosofia, sociologia ed economia della scienza. La scienza non può trasformarsi in tecnoscienza, in efficienza pratica, ma deve conservare i suoi tratti di grande avventura della mente umana.
A partire dall'idea illuministica di progresso, le scoperte scientifiche avrebbero dovuto originare il progresso tecnico, il quale a sua volta avrebbe determinato il progresso economico, che avrebbe indotto il progresso sociale, e, a discendere, quello culturale e morale. Tali attese si sono dimostrate ingenue. Negli ultimi decenni la scienza ha prodotto un incremento quantitativo delle sue conoscenze, ma nessun salto di paradigma.
All'economia interessa soltanto il progresso tecnologico indotto dalla scienza, ma la tecnica sembra sempre più in grado di sganciarsi dalla ricerca scientifica, per conseguire una dimensione autonoma. Di più, il mondo scientifico sembra attraversato da interessi economici e ambizioni di potere. L'immagine di ideale "comunità" dedita a discussioni che non perdono mai di vista il bene comune è entrato in crisi. La tecnoscienza si manifesta come dispotismo illuminato e solleva interrogativi inquietanti circa lo sviluppo democratico delle nostre società. "Perché l’idea stessa di democrazia conservi un senso, sarà infine necessario che la tecnoscienza rinunci non solo a ogni preminenza morale o intellettuale sul politico, ma anche che ci si sottometta".
In sintesi, nel suo bellissimo e profondo saggio, Levy-Leblond, fisico teorico dalla solida preparazione umanistica, demolisce il trionfalismo scientifico della nostra epoca. Gli stereotipi sulla scienza, come attività in costante crescita e generatrice di progresso, vengono smontati uno a uno. Il futuro della scienza consiste, secondo l'autore, in un suo pieno recupero nell'alveo della cultura, come avveniva fino a qualche secolo fa.
I libri di Jean-Marc Lévy-Leblond