Tim Parks
contesta la moda letteraria di sezionare le opere di narrativa
come se fossero oggetti da analizzare in laboratorio, mantenendo
una distanza e un'asetticità tipiche del procedimento
scientifico.
Non crede neppure alla vulgata, anch’essa maggioritaria, che
vuole l’opera estranea alla vita dell’artista.
Al contrario, secondo il saggista e scrittore inglese, la prosa
prodotta dai romanzieri ripropone le tensioni, i conflitti, le polarità
ampiamente riscontrabili nella biografia dell’autore.
Di più, tra lettore e scrittore si instaura un’affinità elettiva, cioè i lettori tendono a preferire proprio quegli autori che più gli somigliano; in altre parole si appassionano a quei romanzi che ripropongono le trame semantiche della loro stessa vita. Dilemmi psicologici ed esistenziali che possono riguardare, ad esempio, coppie di opposti come successo/fallimento, bene/male, dipendenza/autonomia, paura/coraggio, inclusione/esclusione, onore/onta, distacco/coinvolgimento.
Appoggiandosi alla teoria sistemica di Bateson, filtrata attraverso la rielaborazione della psicologa Valeria Ugazio, Parks analizza quali sono i nuclei tematici della narrativa di James Joyce, Cesare Pavese, Thomas Hardy, D.H. Lawrence, Samuel Beckett, Alberto Moravia ed Elsa Morante, agganciando la loro produzione letteraria alle loro strategie di vita.
Ne risulta una lettura avvincente ed estremamente gradevole, anche se capita talvolta a chi legge di chiedersi perché adottare una teoria psicologica nell’analisi letteraria, quando è la letteratura ad essere infinitamente più ricca e polidimensionale della psicologia.