Quella digitale è la rivoluzione più importante della nostra epoca. Un rivolgimento radicale, in cui siamo tuttora immersi e di cui ancora fatichiamo a cogliere appieno limiti ed opportunità, che ha modificato radicalmente il nostro modo di vivere, di pensare e di lavorare, di incontrarci, di stringere amicizia e persino di amare. La rivoluzione informatica rappresenta un fenomeno da studiare con il massimo interesse, perché ci consente di capire quali sono le condizioni, i meccanismi, le idee, le interazioni che innescano un cambiamento così profondo della società.

La rivoluzione digitale si è sviluppata grazie alla maturazione di un particolare clima culturale, cui non è estranea la “controcultura” beat ed hippy, la ribellione al conformismo e all’autorità, l’avversione per le burocrazie centralizzate e per l’élite del potere. Ha beneficiato senz’altro dell’opera di grandi ingegni, forse di autentici geni. Ma è indubbio che alla sua affermazione abbiano contribuito anche una massa di persone sconosciute, ingegneri, tecnici, imprenditori, hobbisti, hacker e smanettoni, meccanici, creativi di ogni sorta e semplici dipendenti che, con le loro proposte e le loro intuizioni hanno consentito il miglioramento continuo di prodotti che hanno conquistato ed affascinato miliardi di esseri umani.

Come dire che, nelle svolte epocali, sono necessari i grandi salti di paradigma, magari indotti dalle intuizioni del grande genio solitario, ma anche i piccoli passi quotidiani in direzione del miglioramento continuo. Nel caso dell’affermazione del computer e della rete, la storia ci dice che quasi tutto è stato prodotto attraverso il lavoro di squadra, l’incontro, non sempre privo di conflitti, tra intelligenze e caratteri diversi, tra menti teoriche e speculative e ingegni pratici, concreti e organizzativi , che hanno consentito lo sviluppo delle meraviglie che noi oggi usiamo quasi con indifferenza. Uno splendido esempio, insomma, di “creatività collaborativa”, di “ricerca condivisa”. Non a caso, con una felice metafora, Paul Baran (1926-2011), l’ingegnere polacco inventore della commutazione di pacchetto, ha paragonato lo sviluppo tecnologico cui abbiamo assistito, alla costruzione dei una cattedrale, cui in tanti hanno contribuito depositando i propri mattoni.

La rivoluzione informatica ha contato inoltre sulla sinergia di varie istituzioni e realtà aziendali: apparati militari, università, colossi dell’industria, piccoli imprenditori hanno collaborato e investito miliardi di dollari per raggiungere risultati eccezionali. Internet ne è un esempio: la Rete è nata in ambito militare come esigenza di sicurezza nazionale e nel frattempo si è sviluppata in ambito accademico come strumento di interscambio fra ricercatori, finendo per coinvolgere, nella propria nascita, le imprese private.

Persino le discipline e i saperi coinvolti dal grande rivolgimento digitale sono i più disparati: certo, la matematica, l’ingegneristica, la fisica, le scienze tutte in genere, ma anche l’economia, la psicologia, la sociologia e le discipline umanistiche. Dietro gli oggetti potentissimi che la tecnologia ci mette oggi a disposizione, non c’è soltanto un sapere tecnico-scientifico, ma anche un sapere umanistico, teso alla bellezza, ad identificare i nuovi bisogni umani di espressività, liberazione, gioco e comunità, alla scoperta della migliore interazione uomo-macchina, al confort, al design.

Se vogliamo fare una cronistoria, per forza di cose, rapida e incompleta, dei personaggi che sono stati i protagonisti della svolta informatica della nostra società, dobbiamo iniziare dall’Ottocento, con Ada Lovelace (1815-1852), la figlia del celebre poeta inglese Byron. Anna era una studiosa accanita della matematica interessata alle macchine computazionali. Si prosegue con Charles Babbage (1791-1871), che per primo ebbe l’idea di un calcolatore programmabile. Senza dimenticare personalità complesse, geniali ed eclettiche come Alan Turing (1912- 1954), cui è stato recentemente dedicato un film, John von Neumann (1903-1957), fisico, matematico, informatico ed economista , Marvin Minsky (1927), cultore dell’intelligenza artificiale (IA) e Vannevar Bush (1890-1974) uno scienziato visionario statunitense che prefigurò già nel 1945, in un celebre articolo intitolato As We May Think (traduzione: Come potremmo pensare), comparso sul The Atlantic Monthly, l’avvento del personal computer (che egli chiamava “memex”, macchina capace di custodire “libri, documenti e comunicazioni”) dei link ipertestuali e delle enciclopedie nate dalla collaborazione di più utilizzatori.

All’invenzione del primo computer digitale elettronico lavorarono, su fronti contrapposti, con conflitti dai prolungati risvolti legali, l’isolato professor John Atanasoff (1903-1995), ingegnere, matematico e fisico dell’Università dello Iowa e, sull’altro versante, Università della Pennsylvania, John Mauchly (1907-1980) e Presper Eckart (1919-1995), realizzatori, nel 1946, di una macchina finalmente funzionante, l’ENIAC. A Ed Roberts (1941-2010), ingegnere e medico statunitense si deve la costruzione, nel 1975, dell’Altair 8800, considerato il primo vero personal computer.

Walter Brattain (1902-1987), John Bardeen (1908-1991) e William Shockey (1910-1989) inventarono nel 1947 il transistor, il dispositivo che “diventò per l’era digitale quello che per la Rivoluzione industriale era stato il motore a vapore”. Jack Kilby (1923-2005), autodidatta e premio Nobel, viene ricordato come l’inventore della calcolatrice tascabile e del primo microchip, il circuito elettrico miniaturizzato (1958), quasi in contemporanea con Robert Noyce (1927-1990), il quale creò la Intel, l’azienda dove Ted Hoff (1937) assemblò, con la sua squadra,nel 1971, il primo microprocessore.

Nolan Bushnell (1943), fondò Atari, la prima importante azienda produttrice di videogiochi; Paul Allen (1953) e Bill Gates (1955), i guru assoluti del software, idearono Microsoft; Steve Wozniak (1950) e Steve Jobs (1955-2011), fondarono la più creativa azienda di personal computer, la Apple.

Al finlandese Linus Torvalds (1969) va il merito di essere l’autore del diffusissimo sistema operativo free e open source Linux; Tim Berners-Lee (1955), legò il proprio nome allo sviluppo del World Wide Web; Jimmy Wales (1966), creò Wikipedia, la prima enciclopedia interamente scritta dagli utenti di Internet; Sergey Brin (1973) e Larry Page (1973), sono gli ideatori e realizzatori di Google, il più importante ed efficace motore di ricerca su internet; Evan Williams (1972) è il creatore della piattaforma di blogging Blogger e il co-fondatore di Twitter.

Ricapitolando, la rivoluzione digitale ci ha insegnato che la creatività è un processo fondamentalmente collaborativo. Conta più il gioco di squadra che la brillante performance del genio. Un cambiamento epocale si verifica quando i tempi sono maturi. E quando idee provenienti da generazioni e ambienti diversi si coagulano in sorprendenti realizzazioni pratiche. Il cambiamento poi, sta diventando sempre più multidisciplinare: teorici e tecnici pratici si completano e spesso i più fecondi protagonisti della rivoluzione informatica hanno unito competenze scientifiche ad intuizioni e cultura umanistiche. Il futuro vedrà probabilmente protagonisti coloro che sapranno mettersi all’intersezione tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, oggi ancora troppo spesso inutilmente contrapposte.

La rivoluzione innescata dagli informatici creativi della Silicon Valley dimostra che un team efficace riunisce personalità visionarie con manager operativi”. “Senza esecuzione”, - scrive Isaacson , biografo dei principali innovatori dell’informatica- , “le idee sono allucinazioni”. Importante nell’evoluzione dell’informatica, si è dimostrata la collaborazione su larga scala tra gruppi di pari, che lavorano per gratificazioni non soltanto economiche. In questo modo si sono sviluppate realizzazioni collettive, software free e open source come Wikipedia, Linux, GNU, OpenOffice e Firefox.

Infine l’innovazione digitale ha dimostrato che sono necessari forti investimenti pubblici e privati nella ricerca di base, che ripagano sempre se non sul breve, sicuramente nel medio-lungo periodo, accrescendo l’economia e il benessere delle persone. Un monito per l’attuale classe politica occidentale che sembra mancare di una visione lungimirante della società che vada oltre i calcoli elettoralistici delle prossime consultazioni.

Riferimenti bibliografici:

Bernstein, J., Uomini e macchine intelligenti, Milano, Adelphi, 1990
Isaacson, W., Gli innovatori. storia di chi ha preceduto e accompagnato Steve Jobs nella rivoluzione digitale, Milano, Mondadori, 2014