
Réflexion sur le causes de la liberté et de l’oppression sociale venne scritto nel 1934, anno cruciale nell'evoluzione del pensiero della filosofa francese, anno in cui la venticinquenne Simone Weil matura la decisione, dopo essersi dedicata all'insegnamento liceale e a una fervente attività intellettuale, di andare a lavorare in fabbrica come operaia. Vicina agli ambienti della sinistra rivoluzionaria, la Weil elabora una critica suggestiva e radicale della nostra civiltà. Se l'uomo primitivo doveva combattere contro le forze della Natura, che lo soverchiavano, nel nostro tempo nuove entità esercitano sull'uomo la propria potente oppressione. Anzi, oggi è l'uomo che opprime l'uomo, finendo col dar vita a una società dove né il forte, né il debole sono liberi.
"[...] invece di essere tormentato dalla natura, l'uomo è ormai tormentato dall'uomo".
Tutti vengono "asserviti alle forze cieche della vita collettiva", che determinano un depauperamento del cuore e dello spirito. La Weil celebra il lavoro manuale, espressione più piena dell'uomo, capace di conferire significato e dignità all'esistenza, in quanto richiede nel suo svolgimento la sinergia di pensiero e azione. D'altronde, il lavoro manuale è già stato celebrato da Goethe nel Faust, ma anche da altri importanti autori come Rousseau, Shelley e soprattutto Tolstoj. Solo che attualmente - annota la Weil - sia nei paesi occidentali che nella Russia comunista, il suo valore è stravolto: al centro del processo non c'è il lavoratore, ma i prodotti del lavoro e le cose.
Dall'attività dell'operaio in fabbrica al lavoro dello
scienziato, ogni ambito della vita collettiva è dominato oggi
dal meccanicismo. La macchina sociale,
inesorabile, schiaccia le aspirazioni e l'intelligenza degli
uomini e produce corruzione, stupidità,
incoscienza e ignavia,
alimentando il senso di impotenza e l'angoscia di ognuno.
Dovunque si soffoca la creatività e ogni possibilità di giudizio
autonomo.
"Viviamo in un mondo dove nulla è a misura d'uomo". Spesso
è una questione di quantità che si muta, parafrasando Hegel, in qualità.
Tutto è in apparenza razionale e metodico, ma il pensiero si trova di fronte a ordini di grandezza che gli impediscono una presa sulle cose. L'individuo si sente circondato dal caos e dall'enigma, incapace di comprendere il tutto, e deve lasciare campo alla collettività. L'individuo è sempre più insignificante. Il ruolo degli operai, incalzato dal progresso della tecnica e dalla produzione in serie, diventa passivo. L'operaio, anche qualificato, non riesce più a cogliere per intero il ciclo completo che porta al risultato finale del suo lavoro. Le sue mansioni sono parcellizzate. E pure chi dirige si trova a confrontarsi con compiti talmente vasti da renderlo inadeguato, incapace di misurarsi con la complessità e vastità del suo incarico.
Coordinare, dirigere e decidere sono ormai delegati a una struttura collettiva e anonima. Nella sfera lavorativa, sono le macchine a svolgere le funzioni essenziali. L'uomo ne è diventato un'appendice. Non sono più le macchine e a servire l'uomo, ma viceversa, è l'uomo che serve la macchina. "Le macchine automatiche si presentano come il modello del lavoratore intelligente, fedele, docile e coscienzioso".
A livello di coordinamento sono i regolamenti, i rapporti e le statistiche a farla da padrone. Su tutti domina un'entità impersonale che si chiama organizzazione burocratica. La funzione amministrativa e i meccanismi burocratici finiscono per sostituire i capi.
Per inciso, va ricordato che la Weil fa le sue considerazioni critiche in un periodo storico che vede l'affermazione delle teorie dell'ingegnere americano Frederick W. Taylor circa l'organizzazione del lavoro industriale, che egli intende razionalizzare al massimo.
Si assiste dunque al rovesciamento del rapporto tra mezzi e fini. E questo rovesciamento è l'emblema di una società oppressiva.. Nell'economia, il capitale finanziario relega il lavoro a un ruolo secondario. Il ruolo primario esercitato dalle burocrazie finisce con il conferire potere allo Stato, l'apparato burocratico per eccellenza.
"[...] un regime del tutto inumano, com’è il nostro, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi, tanto gli oppressi quanto gli oppressori. Ovunque, in gradi diversi, l'impossibilità di mettere in rapporto ciò che si dà e ciò che si riceve ha ucciso il senso del lavoro ben fatto, il sentimento della responsabilità, ha suscitato la passività, l’abbandono, l’abitudine ad aspettarsi tutto dall'esterno, la credenza nei miracoli. Anche nelle campagne, il sentimento di un legame profondo tra la terra che nutre l’uomo e l’uomo che lavora la terra è stato cancellato [...]"
L'impresa asservisce l'operaio per lunghe ore ogni giorno. Nella costruzione teorica della Weil le grandi fabbriche sono dei "penitenziari industriali", capaci di fabbricare soltanto schiavi.
Al termine della sua impietosa disamina la Weil fatica a
individuare una via d'uscita. La grande stampa alimenta
la propaganda e ammannisce opinioni
preconfezionate. Una rivolta degli oppressi appare
improbabile. L'operaio-schiavo
nulla può contro chi possiede fabbriche, armi e stampa. Partiti
e sindacati riproducono troppo spesso l'organizzazione
burocratica e i vizi che vorrebbero combattere. Forse lo
sviluppo di piccole imprese, basate sulla cooperazione
degli individui, potrebbe rovesciare l'alienazione
che domina incontrastata nella grande industria.
E sarebbe soprattutto auspicabile il decentramento dello
Stato, cui togliere il crescente potere di controllo
burocratico e militare, come sottolinea Giancarlo Gaeta, fra i
massimi
studiosi italiano della Weil, nel suo saggio conclusivo.