Il razzismo inteso
come quella dottrina che presuppone una superiorità su basi
biologiche di una razza umana sull'altra, è un concetto moderno,
sviluppatosi da un fraintendimento delle teorie di Darwin e del
positivismo.
In epoche antecedenti prevaleva un sentimento di disprezzo verso le
altre culture ritenute inferiori, verso i "barbari".
Il razzismo rappresenta uno dei tanti abbagli ideologici presi dalla mente umana nel corso della Storia e credo che nessuno possa sostenere, al giorno d'oggi, in maniera fondata, con argomentazioni scientifiche e senza timore di essere sonoramente disapprovato, che una razza sia superiore a un'altra. Ammesso che all'interno della specie umana sia possibile individuare delle razze pure.
Il nazismo, per citare una delle ultime vittoriose (almeno per un certo periodo) concezioni politiche razziste, che si basava sull'idea di superiorità della razza ariana, oggi ripugna alla quasi totalità delle persone ed è considerato un obbrobrio ideologico non più ripetibile.
Eppure la guardia non va mai abbassata e la cronaca ci riferisce, con
cadenza presso che quotidiana, di episodi di discriminazione avvenuti
sulla base del colore della pelle o del luogo di provenienza. Si tratta,
per lo più, di microepisodi di intolleranza o di xenofobia. Certo siamo lontani,
almeno qui in Italia, da quanto scritto nei libri di Wright o nei
racconti della Gordimer.
Speriamo ci sia risparmiato di assistere ad esperienze umilianti
per la dignità umana come la schiavitù in tante parti del globo, o l'apartheid in Sudafrica o
la
violenza rivoltante del Ku Klux Klan negli Stati Uniti.
Non bisogna nascondersi che l'ondata di immigrati dal Terzo Mondo, che ha raggiunto l'Italia negli ultimi decenni, ha scosso equilibri secolari, abitudini consolidate, modi di vivere e di pensare sedimentati nei secoli, provocando inquietudini. Da noi esisteva, tutt'al più, la contrapposizione fra Nord e Sud, l'annosa e irrisolta questione meridionale, ma lo sviluppo industriale del Paese ha finito col metabolizzare le insofferenze razziste. Molti operai e intellettuali meridionali hanno contribuito alla crescita economica della nazione.
Oggi non è così. La crisi economica, la disoccupazione,
l'insicurezza fanno
vivere lo Straniero come una minaccia a un benessere da poco acquisito
e già precario. La psiche umana, sempre in cerca di
un facile capro espiatorio, responsabile delle proprie disavventure,
può facilmente individuare nell'Altro, nel Diverso, l'origine di
tutti i mali.
Per contro, culture quasi totalmente estranee al nostro modo
di pensare, con valori spesso antitetici ai nostri, reclamano oggi attenzione, diritti, considerazione.
Richieste legittime, ma non si può
pensare che ciò non possa provocare, per la velocità con cui è
avvenuto il processo di immigrazione, degli intoppi nell'integrazione dei nuovi arrivati
in un tessuto sociale consolidato. Insomma anche gli italiani, che razzisti
non sono, hanno bisogno di abituarsi all'idea di una società
multiculturale, un'entità fino a ora totalmente loro sconosciuta.
Io credo che ciò stia avvenendo quotidianamente, a piccoli passi, nel migliore dei
modi. La nostra è una società aperta, una democrazia matura, che, pur
tenendo conto di mille disfunzioni e ritardi, considera la tolleranza
verso chi è diverso uno dei valori fondamentali.
Penso che gli italiani abbiano capito che quello che conta sono gli
individui, la loro voglia di fare e di inserirsi, la loro umanità, il contributo che
ognuno è in grado di portare allo sviluppo e al progresso della
società. Il colore della pelle, l'area geografica di provenienza, la
religione professata, le idee politiche non possono essere motivo di
discriminazione.
Gli italiani avvertono altresì l'esigenza di essere rassicurati circa il tasso di tolleranza contenuto nelle altre culture. Su questo concetto è difficile transigere. Chi proviene da fuori deve accettare le nostre leggi, le nostre regole del gioco, i valori democratici su cui si fonda la nostra Costituzione. Non si può essere tolleranti con gli intolleranti. Lo sosteneva pure un filosofo pacifista come Norberto Bobbio. Non ci si può rifugiare nel relativismo culturale tanto caro a certi nostri intellettuali contemporanei, che finiscono col promuovere un deleterio razzismo alla rovescia sostenendo la superiorità morale di coloro che sono storicamente oppressi e proponendo una riedizione del mito russoviano del Buon Selvaggio francamente inaccettabile.
Riferimenti bibliografici
Ben Jelloun T., Il
razzismo spiegato a mia figlia - Il montare dell'odio, Milano,
Bompiani, 2005
Mantovani G., L'elefante
invisibile. Alla scoperta delle differenze culturali, Firenze,
Giunti, 2005