Naomi Klein, No logo. Economia globale e nuova contestazione, Baldini&Castoldi, 2001
(titolo originale: No logo, 2000)

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Le grandi aziende multinazionali puntano ormai sul marchio. I prodotti che immettono sul mercato sono sempre più immateriali. Grazie ad abili e pervasive strategie di marketing, orchestrate da pubblicitari "creativi", le multinazionali del marchio offrono ai consumatori, più che delle merci, degli stili di vita.

La produzione di oggetti, quando esiste, è dislocata  (outsourcing) in Paesi del Terzo e Quarto Mondo, in zone specifiche, le cosiddette aree di libero scambio, appaltata ( o addirittura subappaltata) a ditte che sfruttano i lavoratori con scientifica spietatezza, ricorrendo spesso alla sorveglianza dei militari. All'interno degli stabilimenti, che sorgono non di rado grazie ad accordi con dittatori locali privi si scrupoli, sono corrisposte paghe da fame a fronte di orari di lavoro massacranti ed è frequente  il ricorso al lavoro minorile.

Anche nei Paesi del cosiddetto mondo ricco, i grandi marchi della ristorazione, dell'abbigliamento, dell'intrattenimento e della grande distribuzione offrono ai propri dipendenti contratti a termine e condizioni di lavoro prive di tutele sindacali e di prospettive. Nel frattempo i loghi hanno invaso gli spazi pubblici e sono talmente presenti da rincorrere i cittadini anche negli spazi più privati della loro esistenza e persino l'università e la cultura, tramite sponsorizzazioni sempre più intrusive e aggressive delle manifestazioni e delle attività culturali, rischiano di diventare mere appendici dei grandi marchi.

Mentre calpestano i diritti umani e sindacali, le grandi aziende sempre più si propongono con arroganza come le vere autorità politiche del nostro tempo, superiori come potere agli stessi governi nazionali, attentando in tal modo alle conquiste democratiche dei cittadini.

Tutto questo ingenera nel mondo una dura contestazione che va dall'interferenza culturale, che consiste nel modificare, ritorcendoli contro le aziende stesse, i loro slogan e messaggi pubblicitari, alla diffusione di stili di vita e di consumo alternativi, fino alla deprecabile guerriglia urbana. La contestazione cerca di richiamare le multinazionali a principi di responsabilità e di trasparenza.

E' giunto il tempo, sottolinea la Klein, che tutto il processo della globalizzazione venga ridiscusso, che non si parli più soltanto di economia e mercati globali, bensì di diritti e di responsabilità globali, nel rispetto dei cittadini e dell'ambiente.

Occorre, secondo l'autrice, mobilitare l'opinione pubblica e la coscienza delle persone e sfruttare la potenza di Internet per denunciare i misfatti delle grandi aziende e organizzare la protesta.

I grandi marchi vivono dell'immagine che si sono costruita presso i consumatori. Sono vulnerabili quindi all'opinione pubblica. Un attacco allo loro immagine, in nome della verità, potrebbe farli recedere dai loro attuali abusi.

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Pagina aggiornata il 08.07.12
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