Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, 2006
N a r r a t i v a |
![]() Allcuni trucchi del mestiere Faussone li ha appresi dal padre, che faceva lo stagnino e che gli ha trasmesso l'amore per il lavoro ben fatto e l'orgoglio per la propria indipendenza, senza dover sottostare a un padrone o all'alienazione della catena di montaggio. E, infatti, dopo una breve esperienza alla Lancia, il giovane Tino capisce che la sua vocazione è diversa da quella del lavoro seriale della fabbrica. Egli ama il proprio lavoro, attorno al quale ruota la sua intera esistenza. Ed è dei lavori che ha svolto in ogni angolo del globo, delle opere che ha contribuito a costruire, che Faussone parla con l'alter ego dell'autore, un chimico, un tecnico di una ditta di vernici, in procinto di trasformarsi, a cinquantacinque anni, in scrittore. Si incontrano in un luogo sperduto della Russia sovietica, entrambi per ragioni legate alla loro attività e Faussone coinvolge il suo casuale interlocutore in un intreccio incredibile di aneddoti e conversazioni, talvolta un po' prolissi e monotoni, facendo emergere via via la sua visione del mondo. Faussone e il suo ascoltatore si ritrovano a parlare anche delle analogie del lavoro del montatore carpentiere con quello del chimico e dello scrittore. Tutti mestieri che presentano le loro difficoltà e le loro soddisfazioni. Attraverso il lavoro, Faussone fa esperienza dell'altro, conosce se stesso e la realtà che lo circonda. Senza una casa propria (quando è a Torino abita con le vecchie zie), portato a spostarsi e a viaggiare perché non sopporta la vita stanziale in città ("non tiene il minimo"), il solitario Faussone intreccia al lavoro l'amore e le occasionali amicizie, tramite il lavoro si costruisce una saggezza non libresca, ma tutt'altro che risibile. Una saggezza che deriva dal misurarsi serio, concreto e quotidiano con cose e situazioni. Sono proprio i problemi che nascono dalla pratica a stimolare il suo spirito di osservazione e la sua intelligenza e a richiedere spesso soluzioni originali e creative. Il lavoro, dunque, almeno stando alle osservazioni e all'esperienza di Faussone e del suo più raffinato e anziano ascoltatore, contribuisce alla costruzione dell'identità di chi lo svolge, aumenta la fiducia in se stesso di chi riesce a portare a termine un compito di una qualche difficoltà, stimola la spinta degli esseri umani all'indipendenza e all'autonomia, alimenta il gusto personale della sfida. La stessa libertà dell'uomo coincide spesso "con l'essere competenti nel proprio lavoro e quindi nel provare piacere a svolgerlo". Faussone "ha un vocabolario ridotto", parla spesso per proverbi e luoghi comuni, che testimoniano la sua provenienza da un Piemonte ancora contadino. Per esprimere con efficacia l'oralità e l'immediatezza delle narrazioni del protagonista del suo libro, Levi elabora una lingua particolare, viva anche se letteraria, per niente aulica, dimessa; costruisce la frase attingendo al dialetto piemontese, infarcisce il racconto dell'operaio specializzato Faussone con vocaboli tratti dal gergo tecnico, italianizza nella grafia le parole straniere. Attraverso il protagonista de La chiave a stella, Primo Levi tesse l'elogio del lavoro in generale e del lavoro manuale in particolare, del lavoro preciso e ben fatto, professionale. "Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare - afferma Levi -, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono". Pubblicato nel 1978, La chiave a stella vinse il Premio Strega nel 1979.
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Pagina aggiornata il 06.02.11 |