Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, 2004

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copertina libroScritto in pochi mesi, tra il 1955 e il 1956, Il Gattopardo del siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), raffinato intellettuale di vaste letture, singolare figura di scrittore tanto appartato quanto acuto, conobbe una fortuna letteraria tribolata. 
Dapprima rifiutato da una grande casa editrice, pubblicato postumo nel 1958 da Feltrinelli, grazie a Giorgio Bassani, il romanzo ebbe un grande successo di pubblico e, nel 1959, ottenne il Premio Strega. Tuttavia venne avversato da una parte della critica, specialmente da quella impegnata politicamente, perché giudicato un'opera "restauratrice", un ritorno al romanzo storico.

Le vicende narrate, ambientate in Sicilia, abbracciano un arco temporale che va dal 1860 al 1910. La parte principale del romanzo si svolge, comunque, al tempo dello sbarco dei garibaldini  nell'isola, con la susseguente unità d'Italia. 
Protagonista del libro è un nobile che coltiva la caccia e l'astronomia, molto esperto delle cose del mondo, Don Fabrizio Salina (Don Fabrizio Corbèra principe di Salina), la cui casata porta come emblema un gattopardo danzante. 
La stirpe dei Salina è in declino. La famiglia sta perdendo progressivamente i propri possedimenti, la tradizionale società feudale siciliana si sta sfaldando, la classe dei nobili è destinata a sparire, mentre avanzano sulla scena sociale volgari borghesi che si arricchiscono grazie alla propria grezza energia vitale, ai traffici commerciali e alla mancanza di scrupoli.

Tuttavia il cambiamento è soltanto apparente. Dietro i rivolgimenti politici rivoluzionari, oltre l'affermazione degli uomini nuovi, la Sicilia appare sempre la stessa. Lo intuisce Don Fabrizio, esplicitando le sue convinzioni nella dolorosa, ma lucida analisi con cui rifiuterà un seggio al Senato offertogli dal governo sabaudo, tramite un proprio emissario, il segretario di prefettura Aimone Chevalley, inviato in Sicilia appositamente per persuaderlo ad entrare in Parlamento.

"Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.
[...] Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio."

Come il cambiamento sia fittizio, lo comprende appieno, cavalcandolo, il nipote e pupillo di Don Fabrizio, quel Tancredi, giovane squattrinato, ma sveglio, spregiudicato e ambizioso che non esita, nonostante la provenienza aristocratica, ad arruolarsi nei garibaldini e a cui Tomasi di Lampedusa fa pronunciare nel romanzo la celebre frase: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".

Non solo: Tancredi, grazie anche all'interessamento dello zio, sposa la bellissima Angelica, figlia di quel don Calogero Sedàra, plebeo, privo di garbo e di maniere signorili, ma ricchissimo e potente, oltre che sindaco di Donnafugata, la contrada dove i Salina trascorrono la villeggiatura nel palazzo di famiglia. 
Di Angelica Tancredi si innamora, preferendola all'aristocratica cugina Concetta, che su di lui aveva riposto le proprie speranze matrimoniali. 
Grazie al denaro di Angelica, Tancredi potrà aspirare a una luminosa carriera politica.

Come constaterà con amarezza il principe Salina, nonostante i moti garibaldini e la sconfitta dei Borboni, la Sicilia continua a giacere addormentata e i siciliani, avvezzi a secoli di dominazioni straniere, le più varie, non credono in nessun vero rivolgimento e niente riuscirà mai a scuoterli dal loro torpore, dal loro immobilismo e dalla loro pigrizia.

Il romanzo è  ricco di ironia, di sensualità e di umorismo, ma anche di lirismo e di compassione verso tutti gli esseri viventi (significativa, a questo proposito, la presenza, accanto al Principe, dell'inseparabile amato cane Benedicò). La concezione dell'esistenza del principe Salina, che ama raffigurarsi forte e agile come il felino disegnato sullo stemma di famiglia, è invece poeticamente disincantata e pessimistica, quasi leopardiana. Egli è scettico circa il progresso, le "magnifiche sorti e progressive". 
Secondo lui, l'esistenza più autentica di ciascuno di noi si snoda, al contrario, fra dolori, guai, delusioni e sbadigli e i momenti di vera felicità si riducono a ben poco. Nella vecchiaia poi, i giorni non fanno altro che portare sempre una pena nuova e agli esseri umani non resta altro che "corteggiare la morte". Quella morte che ricorre spesso nel libro, fino a diventarne uno dei temi principali, forse il filo conduttore, di letteraria ispirazione decadentista.

Grande affresco della Sicilia dell'Ottocento, ricco di digressioni saggistiche e di personaggi interessanti dalla psicologia ben delineata, Il Gattopardo va dunque oltre il contingente dato storico, per farsi penetrante analisi universale della condizione umana.

Gran parte della critica letteraria considera Il Gattopardo un'opera  per certi versi incompiuta. Più che un romanzo, una sequenza di otto episodi autonomi, che hanno come comune denominatore le vicissitudini collegate all'esistenza del principe Salina. 
Si tratta comunque, a mio avviso, di un romanzo bellissimo, per molti versi ancora attuale o addirittura profetico. L'analisi del Risorgimento, dei problemi del Meridione, del trasformismo politico e dell'incompiutezza dell'unità d'Italia mi sembra quanto mai lucida, utile e adatta al dibattito politico e culturale odierno.

Lontano dallo sperimentalismo delle avanguardie, in voga negli anni in cui fu redatto il romanzo, intriso di cultura letteraria, dagli scrittori siciliani come Verga, De Roberto, Pirandello e Brancati, fino alla grande tradizione del romanzo europeo (Stendhal, Proust, Mann), Tomasi di Lampedusa adotta uno stile narrativo elaborato, caratterizzato da una narrazione fluida che sa cambiare con disinvoltura registro. Come per i classici, le pagine di Tomasi sembrano fare con naturalezza presa sulla vita. Il suo racconto sa inoltre restituirci con efficacia il clima, gli odori, i colori e i profumi di una Sicilia infuocata e affascinante.

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I libri di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Il film tratto dal libro nel 1963 da Luchino Visconti

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Pagina aggiornata il 25.12.10
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