copertina libroSaggista e politologo britannico, coniatore del termine "postdemocrazia", Colin Crouch sviluppa argomenti ed elabora tesi molto interessanti. Cogliendo i repentini cambiamenti del mondo contemporaneo, i suoi libri ci chiamano a riflettere su quali prospettive ci riservi il futuro.

In questo saggio Crouch mette a fuoco il conflitto, attuale, fra la globalizzazione e un redivivo nazionalismo. Le conseguenze della globalizzazione non sono state soltanto di carattere economico, causando la trasformazione radicale di intere economie, chiusura di fabbriche e perdita di posti di lavoro, ma ha avuto delle ripercussioni culturali e psicologiche sui lavoratori e i cittadini stessi, concernenti le loro identità profonde e il loro stile di vita.

La libera circolazione non ha riguardato soltanto capitali, beni e servizi, ma anche esseri umani. D'un tratto, comunità ricche di storia e di tradizioni consolidate, omogenee dal punto di vista valoriale si sono trovate nella necessità di entrare in relazione con lo straniero, magari appartenente a una cultura radicalmente diversa. Ciò ha determinato un sentimento di insicurezza e disorientamento. Al tutto si è aggiunta la minaccia portata un po' ovunque dal terrorismo islamico, che ha destabilizzato intere popolazioni e scatenato un'ondata significativa di xenofobia.

La globalizzazione ha indubbiamente avuto delle ripercussioni positive per milioni di persone. I lavoratori dei Paesi più poveri hanno beneficiato, a varie latitudini del globo, di un aumento dei loro redditi e del loro benessere. Alcune classi sociali, pur nel lamentoso Occidente, hanno goduto della liberalizzazione economica, specialmente gli strati sociali più istruiti e benestanti. Alcune regioni più periferiche però si sono impoverite o, quantomeno, percepiscono un peggioramento della loro qualità della vita. La globalizzazione non è stato comunque un gioco a somma zero e i guadagni sono stati generalmente più cospicui delle perdite.

Chiudersi a riccio nella difesa della propria patria e del proprio territorio, come sembrerebbe nel programma di alcuni nuovi movimenti politici, può essere pertanto una soluzione sbagliata. La nostalgia verso un mondo che non c'è più, spesso presente anche tra coloro che hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione, è regressiva. Crouch popone un mondo aperto ai commerci, in cui le nazioni cooperino tra loro, cercando soluzioni e compromessi vantaggiosi. Un mondo in cui la componente globale e quella locale si compenetrino e in cui venga applicato un principio di sussidiarietà. Di certo, alcuni problemi possono essere affrontati efficacemente soltanto in ambiti più vasti dello Stato-nazione. I fenomeni immigratori vanno governati, modulati nel tempo e ricondotti alla legalità, ma è indubbio, secondo l'autore, che i contatti tra individui di culture diverse sia arricchente e favorisca, nel lungo periodo, un clima di maggiore comprensione, accettazione e distensione.

Soprattutto è necessario che gli individui e le comunità guardino alle proprie identità non più in modo unidimensionale, ma concepiscano di possedere identità multiple, che non si escludono a vicenda:

"Come cittadini - conclude Crouch - dobbiamo rispondere [alle nuove sfide] imparando a sentirci a nostro agio con identità multilivello e operando politicamente a ognuno di essi.
[...] Perché le diverse forme di lealtà devono essere viste come 'scisse' piuttosto che 'multiple'? Perché il bisogno illiberale di un monopolio di Stato sull'identità? In realtà molti cittadini sono in grado di far fronte con facilità a più identificazioni.
[...] non c'è ragione per cui le persone che aspirano alle identità transnazionali debbano essere degli 'ovunque'. Possono esser profondamente radicati nelle loro comunità locali e al tempo stesso amare il loro paese"
.

ordina

I libri di Colin Crouch