Leggere non è un'attività semplice e superficiale. Leggere non è scorrere le righe di un testo, ma studiarlo a fondo e riuscire ad
esprimere un'opinione originale e profonda su quanto si è letto. Spesso solo i grandi critici ci riescono. La maggior parte delle
persone si limita invece a gustare una storia o una trama avvincente, ma si rivela del tutto incapace di scegliere i libri da leggere e trarne davvero beneficio. Non si legge per divertimento, ma per ricavarne
cibo per la mente.
Un libro deve coinvolgere la nostra sfera emotiva e la nostra intelligenza; altrimenti leggere per svago è soltanto una perdita di tempo, "un intorpidimento delle facoltà mentali". Leggere richiede un metodo. Per giudicare un libro spesso non basta una sola lettura. Vanno analizzati l'argomento, la realizzazione, l'idea e la qualità letteraria.
I libri da leggere vanno scelti con cura, perché niente come i buoni libri è così necessario per la nostra autoformazione. Bisognerà perciò evitare di sprecare le proprie energie con libri che non meritano attenzione. Difficilmente potremo aspirare a diventare dei grandi critici, ma buoni lettori lo possiamo diventare con l'applicazione e la pazienza. In ultima analisi non sono nemmeno i grandi critici a decretare il valore di un libro, un classico per esempio, ma è il pubblico, attraverso il susseguirsi delle generazioni che opera una scrematura dei libri pubblicati: i libri che resistono nei secoli sono generalmente grandi libri. I grandi libri sono "libri che hanno superato la prova del tempo".
Un libro di qualità eccelsa si riconosce dal fatto che non esaurisce mai tutti i significati ad una prima lettura, ma ci invoglia a rileggerlo e ogni volta che lo rileggiamo apre le porte della nostra percezione a una nuova bellezza. Se il fascino esercitato da un libro non resiste a una seconda lettura, forse non meritava neanche la prima. Difficilmente un ragazzo può cogliere la bellezza e la profondità di un grande libro dopo una sola, precoce lettura. Perché per apprezzare veramente un libro occorre avere compiuto determinate esperienze di vita. "Un testo rivelerà nuovi significati a seconda dell'esperienza di vita di un uomo".
Anche se esiste un canone, la scelta dei libri da leggere deve essere personale. Ciascun temperamento, ciascuna intelligenza, ciascuna mente sceglierà i libri che gli sono congeniali. Compilare una lista dei "libri da leggere assolutamente" è un'impresa, per quanto lodevole, destinata al fallimento, perché ogni lettore leggerà veramente soltanto quelle opere per cui avverte attrazione, sintonia, affinità. I libri che meritano di essere letti non sono tanti: i libri sacri, i grandi poemi epici, le grandi opere teatrali. Uno studente dovrebbe padroneggiare la mitologia greca, leggere Omero, magari in prosa, i grandi drammi di Sofocle, Eschilo ed Euripide, le commedie di Aristofane, poi Teocrito, Virgilio (l'Eneide), Orazio, Apuleio (Le metamorfosi), Dante, Heine, Goethe (il Faust), Moliere, Milton, Shakespeare.
"Dovreste rileggere Shakespeare una volta all'anno...vedrete diventare Shakespeare più grande ogni volta che lo leggete e alla fine inizierà ad esercitare un'influenza molto forte e molto benefica sul vostro modo di pensare e sentire".
Non occorre essere un accademico per trarre benefico e piacere dalla lettura dei classici.
Questo in sintesi, con parole mie, è quello che Lafcadio Hearn scrive in Leggere, saggio pubblicato per la prima volta nel 1917, all'interno della raccolta Life and Literature e frutto delle lezioni che Hearn tenne all'Università di Tokyo, a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Scrittore di origini greco-irlandesi, Lafcadio Hearn (Leucade, isole Ionie, 1850 - Tokyo 1904) si formò come autodidatta e si trasferì nel 1891 dagli Stati Uniti in Giappone, dove si convertì al buddhismo e insegnò all'Università di Tokyo.
Nel secondo e conclusivo saggio che compone il libro, Letteratura e opinione politica, anch'esso maturato dalle lezioni tenute a Tokyo e pubblicato nel 1915, all'interno della raccolta
Interpretation of Literature, Hearn tratta del possibile legame che esiste fra letteratura e politica. Egli parte dal presupposto che l'opinione pubblica è una forza capace di condizionare la vita, le scelte politiche e l'orientamento di una nazione verso un'altra. Ebbene, secondo l'autore, la sola forza che
modella veramente l'opinione pubblica ed è in grado di sconfiggere ignoranza e pregiudizi, non è il giornalismo, ma la letteratura,
la letteratura d'invenzione, dell' immaginazione e dei sentimenti: la narrativa e la poesia. E porta come esempio la grande letteratura russa dell'Ottocento (Turgenev,
Dostoevskij, Tolstoj), che fece conoscere l'ingegno, l'umanità e il pensiero russi a tutto l'Occidente, abbattendo
definitivamente ogni residuo pregiudizio verso quel popolo.
L'opinione pubblica non è questione di intelletto, ma di sentimento. I grandi scienziati, le persone molto istruite poco possono nel
contribuire alla sua formazione. I letterati invece sì, favorendo persino gli affari e il commercio tra gli Stati.
"Un uomo può fare un grande servizio al suo paese scrivendo un libro tanto quanto vincendo una battaglia".
Chissà se è ancora vero in un'epoca come la nostra in cui le immagini prevalgono sulla parola scritta?