Piero Gobetti nasce a Torino nel 1901. I genitori sono contadini che si trasformano in piccolo borghesi avviando una piccola attività commerciale che li occupa diciotto ore al giorno. Egli è Insofferente verso il sistema scolastico. Da ragazzo, il futuro brillante intellettuale percepisce la scuola come un sistema di costrizione. Gobetti frequenta tuttavia con successo prima il ginnasio poi il liceo Gioberti. Ancora studente liceale frequenta le lezioni universitarie che più lo interessano. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza a Torino e, oltre a studiare per gli esami del corso, apprende da autodidatta la letteratura, l'arte, la filosofia e il teatro. Giovanissimo fonda un quindicinale, "Energie Nove", "ritrovo di giovani che han voglia di fare qualcosa", che si ispira alla "Voce" di Prezzolini e all'"Unità" di Salvemini. Stabilisce rapporti di reciproca stima con Antonio Gramsci, si occupa di socialismo e di problemi della scuola, studia a fondo la rivoluzione russa. Nel 1921 scrive su "Ordine Nuovo", la rivista di Antonio Gramsci.

Il 12 febbraio 1922 esce il primo numero de "La rivoluzione liberale", il cui Manifesto rappresenta la sintesi del suo pensiero. Nello stesso anno si laurea e l'anno seguente sposa Ada Prospero, conosciuta sui banchi del liceo. Un mese circa dopo il matrimonio viene arrestato per "apparteneza a gruppi sovversivi". Dopo cinque giorni è scarcerato. Pochi mesi più tardi fonda la Piero Gobetti Editore.
Il 29 maggio 1923 viene di nuovo arrestato per le sue idee politiche e riconosciuto come un aperto oppositore del fascismo. A marzo del 1924 pubblica La rivoluzione Liberale. saggio sulla lotta politica in Italia. Nel frattempo si dedica anche della rivista "Il Baretti".

Mussolini gli dichiara apertamente guerra e Gobetti subisce un'aggressione fisica da parte di un manipolo di fascisti. "La Rivoluzione Liberale" viene più volte sequestrata, mentre il contrasto fra Gobetti e Mussolini si fa ancora più aspro. Gobetti si considera un "esule in patria". Diventa padre - nasce il figlio Giulio - ma accusa disturbi cardiaci. Il 6 febbraio 1926 espatria a Parigi. l'11 febbraio si ammala di bronchite, il 15 muore in clinica.

Il suo pensiero e soprattutto il suo esempio sono ancora attuali. I mali italiani rimangono sempre gli stessi. il fascismo rappresenta per Gobetti "l'autobiografia di una nazione". Secondo Gobetti, L'italia è una nazione che non può essere rinnovata che dal basso. Egli è animato da un insopprimibile bisogno di agire, creare, organizzare. Per lui, una realtà, quando è meschina, va cambiata.

Eccezionale organizzatore di cultura, lotta contro il conformismo acritico dei molti, troppi connazionali. Per Gobetti, il fascismo rappresenta la fine della responsabilità inerente la lotta politica e la regressione verso il patriarcalismo, un ritorno al "condottiero di milizie che dà ai servi inquieti una paterna disciplina". In definitiva, un modo infantile di guardare alla realtà del mondo in maniera semplicistica.

Gobetti si dichiara favorevole ad attribuire valore all'intransigenza. Secondo lui il fascismo è stato l'autobiografia di una nazione, la nostra. "Gli italiani chiedono una disciplina e uno Stato forte" afferma. E ancora: "Gli italiani hanno bene animo di schiavi".
Per l'intelletuale torinese, il fascismo solletica i rozzi istinti dei filistei. Mussolini fa evidentemente breccia nel cuore dell'italiano, perché egli (l'italiano) è un cortigiano, con scarso senso di responsabilità, che si aspetta la salvezza dal duce, dal domatore, dal deus ex machina. Di Mussolini, Gobetti infatti scrive:

"La sua figura di ottimista sicuro di sé, le astuzie oratorie, l'amore per il successo e per le solennità domenicali, la virtù della mistificazione e dell'enfasi riescono schiettamente popolari tra gli italiani"

Riferimenti bibliografici:
P. Gobetti, (a cura di E. Alessandrone Perona), La Rivoluzione Liberale, Torino, Einaudi, 2008