
Franco Basaglia nasce l’11 marzo 1924, in una ricca famiglia della borghesia veneziana. Frequenta il ginnasio Foscarini, dove viene bocciato e passa quindi al Marco Polo. Chi lo ha conosciuto al tempo lo descrive come un ragazzo timido e silenzioso, ma nel contempo spavaldo. Trascorre l'infanzia e l'adolescenza durante il regime fascista. Quando ha ventidue anni conosce Franca Ongaro, sorella di Alberto Ongaro, futuro romanziere. Franca diventerà sua moglie e, dopo essersi dedicata alla letteratura - scrive storie per bambini, poi illustrate da Hugo Pratt
-, si dedicherà alla psicologia e alla psichiatria, sostenendo il lavoro del marito e pubblicando saggi tuttora apprezzati (si veda, ad esempio, la voce da lei redatta per l'enciclopedia Einaudi,
Salute/malattia).
Nel 1943 Basaglia si iscrive alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Padova. Partecipa alla Resistenza: fa la staffetta, recapita messaggi. Viene arrestato e condotto in carcere nel novembre del 1944.
Si laurea nel 1949 e ottiene la specializzazione in malattie nervose e mentali nel 1952.
Rimane affascinato dal metodo dell’analisi esistenziale dei tedeschi Jaspers, Binswanger e Minkowski, un metodo molto diverso dalla classificazione positivistica dei sintomi, e dalla fredda distanza dell'esaminatore, allora paradigma dominante della psichiatria italiana. Suo maestro durante il decennio in cui lavora nella clinica neuropsichiatrica universitaria di Padova è Giovanni Belloni, un “accademico di vecchia tradizione”, uno psichiatra organicista che attribuisce la causa dei disturbi psichiatrici al malfunzionamento del cervello.
Basaglia studia nel frattempo molta filosofia, la fenomenologia, l’esistenzialismo, tanto che Belloni lo appella bonariamente “il filosofo”. Insofferente delle gerarchie e dei giochi di potere rinuncia alla carriera accademica, che pur lo aveva attirato. Considera l'istituzione universitaria italiana come una delle più reazionarie. E infatti, l’università lo emargina.
Nel 1961 assume la direzione dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. Nota che gli uomini di scienza cercano la causa della malattia e non il suo significato, che i medici tendono ad evitare il coinvolgimento personale, che la distanza conferma lo psichiatra nel proprio ruolo di potere e di prestigio. Il sistema oppressivo della psichiatria colpevolizza il malato, lo etichetta con giudizi di valore che non hanno niente di scientifico.
A Gorizia Basaglia porta con sé moglie e figli. E inizia la sua rivoluzione: niente più elettroshock o shock insulinici, basta con i ricoverati ridotti in schiavitù. Apre invece gli spazi, cerca di creare una comunità, restituisce diritti, organizza attività ricreative e lavorative.
Il manicomio è quella che il sociologo statunitense Erving Goffman definirà, in un memorabile saggio (Asylums) una "istituzione totale". Le altre sono gli orfanotrofi, le case di riposo, le cliniche. Ci finiscono dentro malati, irrequieti, orfani, solitari, sognatori, miserabili, combattenti, ex partigiani, artisti.
La realtà manicomiale e psichiatrica italiana con cui si deve misurare Basaglia e la sua equipe è molto arretrata rispetto ai più civili Paesi del Nord Europa. La nuova psichiatria italiana propone idee moderne, aggiornate alle migliori esperienze anglosassoni. Si apre a discipline che superano l'angusta osservazione di un corpo ipoteticamente malato. Oltre ai testi di filosofia, si studiano la psicologia, la sociologia, l'antropologia. Alle spalle delle pratiche di Basaglia e del suo staff, ci sono anche esperienze storiche che fanno capo a correnti di pensiero e pratiche terapeutiche favorevoli all’apertura dei manicomi. Si pensi a personalità come Philippe Pinel (1745-1826) e Jean- Etienne Dominique Esquirol (1772-1840) e ai loro interventi contraddittori, parziali, ma innovativi, consapevoli che l’internamento è esso stesso causa di malattia.
Nel 1961, quando Basaglia assume la direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, l’Italia attraversa il periodo del cosiddetto boom economico, un periodo di prosperità che durerà pochi anni. Soprattutto un periodo di grandi trasformazioni, forse troppo rapide, caratterizzate, dall’emigrazione di milioni di persone dal Sud al Nord, con conseguente sradicamento, dal passaggio repentino dalla vita in campagna alla città, dal lavoro agricolo con i suoi ritmi stagionali al lavoro in fabbrica, alla catena di montaggio. Lo stress prodotto dai profondi cambiamenti socioeconomici contribuisce probabilmente all'aumento dei disturbi mentali.
Per la nuova ideologia psichiatrica, il malato non è solamente un malato, ma è un uomo con tutte le sue necessità. Basaglia rifiuta il camice bianco, considerato simbolo di potere. Spezza le gerarchie. Elimina le distanze e, in successione, i letti di contenzione, le grate, le inferriate, i cancelli. Organizza assemblee e riunioni di ogni tipo in cui i malati sono protagonisti. Non senza incontrare delle resistenze: alcuni operatori si sentono privati improvvisamente del loro ruolo e del loro piccolo o grande potere. Anche gli amministratori si mettono di traverso per cui Basaglia abbandona Gorizia.
Passa a dirigere l’ospedale psichiatrico di Parma. A Colorno ci sono quattro medici e centosessanta infermieri per milleduecento malati. E tanti hanno convenienza a che il manicomio continui ad esistere: i medici legati alla cultura tradizionale, gli infermieri perché l’ospedale psichiatrico è la più grande azienda di Colorno e garantisce lavoro, le famiglie degli infermieri, i fornitori che fanno profitti con il rifornimento alimentare. Basaglia prosegue il lavoro cominciato a Gorizia: ristruttura una fattoria nelle vicinanze, crea delle cooperative di lavoro, dà vita a un'autentica comunità terapeutica. Ottiene finalmente un posto all'università: le sue lezioni sono affollatissime. Ma anche nella rossa e progressista Emilia-Romagna Basaglia incontra la consueta opaca ostilità degli amministratori.
Ripara allora a Trieste. Basaglia assume la direzione del locale manicomio nel 1971. Comincia subito mettendo a nuovo il vecchio edificio. Riunisce gli oltre mille malati in
comunità aperte, favorisce la comunicazione ricorrendo anche all'uso del
dialetto per rinforzare l'identità e la memoria delle persone,
il senso di appartenenza, il loro radicamento a un territorio. Le porte del manicomio
vengono aperte e si organizzano strutture e momenti di
ricreazione, feste, balli, atelier di pittura, gite. Vengono
organizzate tra i ricoverati squadre di lavoro esterno con tanto di retribuzione e contratto sindacale.
A Trieste confluiscono giovani da ogni parte del mondo, istruiti, motivati a dare una mano, consapevoli di stare partecipando ad un'esperienza unica e rivoluzionaria.
Nel frattempo appoggiano le iniziative di Basaglia intellettuali del
calibro di Jean Paul Sartre e Pier Paolo Pasolini e personalità
pubbliche come Giovanni Berlinguer, un medico con responsabilità politiche di rilievo assoluto.
Sulla scorta del lavoro compiuto da Basaglia, il 13 maggio il Parlamento italiano approva la legge 180 ("Norme per gli accertamenti e i trattamenti sanitari volontari e obbligatori"). Quattro giorni prima le Brigate rosse avevano assassinato lo statista Aldo Moro, nove giorni dopo verrà approvata la legge 194 sull'aborto.
Sull'Italia spira ancora il vento di rinnovamento del Sessantotto. Tuttavia la riforma delle cure psichiatriche introdotta da Basaglia, che prevede l'abolizione dei manicomi, incontrerà non poche opposizioni. Una delle più significative fu quella dello scrittore e psichiatra, direttore del manicomio di Maggiano, Mario Tobino, letterato peraltro ammirato dallo stesso Basaglia. E le polemiche continuano ancor oggi, spesso portate avanti dai familiari dei malati che si sentono abbandonati dallo Stato.
Basaglia muore a Venezia il 29 agosto 1980 in seguito a un tumore al cervello. Nel 1979 si era trasferito a Roma, dove aveva assunto l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della regione Lazio. Va ricordato che dietro il suo importante lavoro innovativo, ci sta l'opera di centinaia di operatori del settore (medici, infermieri, psicologi, volontari) e di malati che aderirono con entusiasmo alle sue idee e la sua riforma fu possibile grazie alle riflessioni e al contributo scientifico dei molti psichiatri preparati che lavorarono al suo fianco e che contribuirono alla stesura di libri che segnarono positivamente la cultura italiana di quel periodo. Testi come Che cos'è la psichiatria?, L'istituzione negata, La maggioranza deviante, Crimini di pace, Dove va la psichiatria, Il manuale critico di psichiatria (scritto non da Basaglia, ma dal suo collaboratore forse più colto, quel Giovanni Jervis che non risparmiò critiche acuminate allo psichiatra veneziano), raggiunsero un pubblico che andava oltre quello degli addetti ai lavori, ma coinvolgeva una platea generalista molto più ampia. Saggi ancora fondamentali, divenuti quasi dei best seller, che hanno contribuito ad un profondo rinnovamento della società italiana.
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A Oreste Pivetta, l'autore della biografia di Basaglia, va attribuito il merito di aver saputo ricostruire efficacemente l'atmosfera carica di passione e di forte ideologizzazione che caratterizzò gli anni Sessanta e Settanta, investiti dall'onda rinnovatrice del Sessantotto e dai miti di Che Guevara e di Franz Fanon.