copertina libroNell'infanzia si hanno idoli con cui ci si identifica, modelli da imitare, personaggi pubblici su cui proiettare aspirazioni, sogni e forse parti profonde di se stessi. Difficile dire quanto contribuiscano alla formazione della nostra personalità futura. Forse molto, forse poco. Non lo so. Nella mia infanzia uno degli oggetti della mia ammirazione era un ciclista di poche parole, serio e spesso vincente. Il suo nome era Felice Gimondi. È perciò con curiosità e piacere che ho letto questa autobiografia scritta dal vecchio campione con l'aiuto di un giornalista, Maurizio Evangelista.

Felice Gimondi nasce il 29 settembre 1942 a Sedrina, un paese di duemila abitanti in provincia di Bergamo nella Val Brembana.
Per sostentare la famiglia il padre Mosè è costretto ad emigrare in Brasile. Ci rimane dieci anni, a tagliare alberi nella foresta amazzonica. La mamma Angelina lo aspetta in Italia. Con i soldi guadagnati papà Gimondi, un tipo tosto, avvia una piccola azienda di trasporti. La mamma fa la postina. Felice, secondo di tre fratelli, quando può le dà una mano a consegnare le lettere. A scuola non é un gran che e a calcio è un'ala troppo lenta.

Felice si dedica alla manutenzione dei mezzi dell'azienda del padre. Guida precocemente (anche troppo) i camion della ditta di famiglia. Il ciclismo lo affascina: tifa per Coppi. Inizia a correre per la neonata società ciclistica del paese. Si allena e corre divertendosi. Prende la patente E, necessaria per guidare i camion, diventa postino supplente a Sedrina e nel frattempo comincia a vincere le prime corse in bicicletta.

Passa tra i dilettanti. L'inizio è durissimo. Poi Felice, consigliato da in medico sportivo, cambia dieta e inizia a vincere. Elio Rimedio, CT della Nazionale, lo convoca. In una corsa preparatoria al mondiale vince staccando nel finale il compagno di fuga, un allampanato belga più giovane di lui di tre anni: si chiama Eddy Merckx. Un nome che ricorrerà come un tormentone durante tutta la carriera di Felice.

Da dilettante, nel 1964  Gimondi si aggiudica la corsa a tappe più prestigiosa: il Tour de l'Avenir. L'anno successivo, da professionista, fa bene al Giro d'Italia (terzo, vince il suo capitano Vittorio Adorni), arriva secondo al GP di Castrocaro, classica dei cronomen, dietro lo specialista delle corse contro il tempo, il francese Jacques Anquetil.
Luciano Pezzi, suo storico allenatore e mentore lo convince a partecipare al Tour de France.
Felice parte. È in forma, si sente bene e vince. Battendo un indomito Poulidor, l'idolo dei francesi. Gimondi corre per i fratelli Salvarani, un'azienda parmense che produce cucine.

La futura moglie, Tiziana, la donna della sua vita, cui è tuttora legato, gliela fa conoscere Vittorio Adorni.
Nel 1965 Tiziana è la sedicenne nipotina di due albergatori di Diano Marina cui Adorni è molto affezionato. Gimondi ha poi occasione di rivedere Tiziana quando la squadra scende a Diano Marina in ritiro. Tiziana è al suo fianco da oltre cinquant'anni. Solida ed equilibrata, Gimondi non prende una decisione importante senza consultarla. Hanno vissuto anche momenti difficili. Per esempio nel 1976: Gimondi vince il suo terzo e ultimo Giro, ma a Milano a festeggiare Tiziana non c'è. L'Italia non è più un Paese semplice e contadino. Le ideologie anche violente, imperversano. La criminalità ha fatto un salto di qualità e violenza. Dei criminali minacciano Tiziana di rapire le figlie Norma e Federica. Tiziana non ne fa parola con Felice, per lasciarlo tranquillo nel suo lavoro che è quello di correre e vincere.

Nel 1967 vince il suo primo Giro. Va al Tour; gode di una forma straordinaria, ma una crisi gastrointestinale gli pregiudica la vittoria. Vince l'anonimo Pingeon, ma Gimondi si aggiudica tappe fantastiche. Il 1967 è anche l'anno della consacrazione di Merckx. Il fiammingo vince varie classiche e batte il campione italiano nella sua specialità preferita: le gare a cronometro. Gimondi prende amaramente coscienza che il giovane belga ha una marcia in più, un motore più potente. Ha inizio una rivalità che terminerà soltanto quando entrambi appenderanno la bici al chiodo.

Il Giro del 1968 lo vince Merckx, Gimondi sul podio occupa il terzo scalino.
Ma rimane un campione. Soccombente forse, ma ha il grandissimo merito di non arrendersi mai, sorretto da un carattere fiero.
Merckx corre in modo spregiudicato, consapevole della sua potenza strabordante. Gli addetti ai lavori, in prima fila il grande scrittore e giornalista sportivo Gianni Brera, pensano che si brucerà in fretta, ma si sbagliano. I Salvarani, abituati alle vittorie di Felice, gli fanno pressione e questo amareggia il ciclista bergamasco.
Sulle Tre Cime di Lavaredo, che soltanto l'anno prima avevano visto il suo trionfo, Gimondi viene staccato da Merckx di sei minuti. Sentendosi non solo sconfitto, ma umiliato, giunto al traguardo Gimondi piange.
Merckx da professionista vincerà 525 corse. Un vincitore seriale. Lo spagnolo Indurain ha vinto cinque Tour, tanti quanti Merckx; il texano Armstrong addirittura sette. Ma nessuno ha impressionato quanto Merckx, un autentico gigante.
Gimondi deve affrontare un periodo psicologicamente difficile. Deve ricostruirsi. Modificare i propri obiettivi ed aspettative.

Seguiranno anni duri. Vincere battendo Merckx diventerà sempre più una mission impossible. Ma le soddisfazioni per un  corridore come Gimondi, che non si arrende mai, non mancheranno. La sua rivincita capolavoro avverrà ai mondiali di Barcellona nel 1973, quando Gimondi, che è un passista poco propenso alle volate, batterà Merckx proprio allo sprint, laureandosi campione del mondo. Troverà inoltre modo di vincere altre due volte il Giro, una nel 1969 e l'ultima volta a trentaquattro anni nel 1976, quando quasi tutti lo davano ormai per finito.
Nella sua carriera Gimondi ha ottenuto 141 vittorie, 56 secondi posti e 38 volte è arrivato terzo.
Finita la carriera da ciclista professionista, non ha mai smesso di lavorare. Ha fatto l'assicuratore, ha curato gli affari di famiglia ed è stato dirigente di vari club sportivi.

Merckx il fenomeno, l'avversario, il superuomo. Nell'ambiente era soprannominato "Il Cannibale". C'è sempre stato mutuo rispetto tra i due. E anche sincera amicizia. Quando Merckx venne squalificato al Giro, Gimondi rifiutò di indossare la maglia rosa. Si sentono ancora al telefono. Già da corridori tra una corsa e l'altra, trovavano il tempo di bere una birra insieme. Ed è proprio Eddy Merckx l'autore della prefazione alla autobiografia di Gimondi.

Ciclismo d'altri tempi quello evocato da Gimondi nel libro. Campioni come Rik Van Looy, in grado di domare come nessuno la forza del vento, secondo come grandezza soltanto a Merckx, Rik Van Steenbergen, lo scanzonato Dino Zandegù, il gentleman Rudi Altig, il problematico Gianni Motta, l'amico Franco Bitossi, Franco Balmamion, l'imprevedibile Michele Dancelli, Italo Zilioli, il brillante Roger De Vlaeminck, il talentuoso Freddy Maertens, lo statunitense outsider Greg Lemond, il “nobile e altero” Jacques Anquetil. Il fascino delle classiche del Nord, le "strade bianche", il pavé, il sudore, il fango.

Il libro ci parla di un ciclismo, quello di Gimondi e Merckx, fatto “di umiltà e di concretezza, costruito con anni di lavoro. di sacrifici, di rinunce. Con una vita semplice e regolare”.
Ci consegna la figura di un ragazzo prima e di un uomo poi timido, tenace e grintoso. Semplice, ma autocritico. “Felice è vissuto in una famiglia dove ha imparato il senso del dovere, il valore dei rapporti umani, il rigore”.

Con i compagni di squadra e con i cosiddetti gregari Felice, tuttavia,  sapeva essere duro. Era esigente e burbero. Non perdonava chi non rispettava le consegne. Quando si compete ad alti livelli possono scappare anche epiteti pesanti. Si mandano a quel paese compagni, meccanici e massaggiatori L'importante è che finita la gara, non ci si pensi più. E questo succedeva nell'entourage di Gimondi  Che nonostante il carattere di chi non le manda a dire, ha conservato negli anni la stima di compagni e collaboratori.

Gimondi non manca di ricordare i ciclisti morti nell'esercizio della loro professione: Tommy Simpson morto durante la scalata del Mont Ventoux, in una tappa del Tour; il giovanissimo e promettente campione belga Monseré, già campione del mondo, morto in allenamento, investito da un'auto; Fabio Casartelli, già campione olimpico nei dilettanti, morto anche lui al Tour durante una discesa, senza casco, nel 1995. Il casco divenne obbligatorio soltanto nel maggio 2003, dopo la morte di Andrei Kivilev durante la Parigi-Nizza. Al Giro del 2011 morì Wouter Weylandt, nonostante portasse il casco. Il ciclismo su strada - avverte Gimondi - specialmente durante gli allenamenti che si svolgono nel traffico, è uno sport bellissimo, ma pericoloso.

Gimondi fa in tempo a correre con Francesco Moser, campione verso cui nutre grande stima. Come dirigente ha modo di conoscere Marco Pantani, uomo dal carattere difficile, chiuso e introverso, campione immenso, in grado di vincere Giro e Tour nello stesso anno e capace di far rivivere l'epopea di un ciclismo d'altri tempi, Moreno Argentin, grande finisseur che non riesce a vincere mai la Milano-Sanremo, Gianni Bugno, corridore dalle grandissime potenzialità, non espresse del tutto in carriera, che dà sempre l'impressione di non impegnarsi al cento per cento.

Dopo il dualismo storico tra Coppi e Bartali e tra Merckx e Gimondi soltanto Moser e Saronni sono stati in grado di offrire agli italiani una rivalità simile in grado di entusiasmare.

Gimondi è soddisfatto di quanto ha combinato nella sua vita. Così sinterizza al sua carriera di ciclista:

“Ci sono solo tre corridori nella storia del ciclismo che hanno vinto le cosiddette 'magnifiche cinque’: il Giro, il Tour, la Vuelta, il Campionato del Mondo e la Parigi-Roubaix, la regina delle classiche. Io sono uno di quei tre e gli altri due sono Eddy Merckx e Bernard Hinault".

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Felice Gimondi è stato ciclista professionista dal 1965 al 1979.
Si è aggiudicato Il Tour de l'Avenir, prestigiosa corsa a tappe per dilettanti, nel 1964. Ha vinto il Tour de France nel 1965, 3 Giri d'Italia (1967, 1969, 1976), la Vuelta di Spagna nel 1968.
È stato Campione del Mondo (Barcellona, 1973. Ha vinto la Parigi-Roubaix (1966), la Parigi-Bruxelles (1966, 1976), il Giro di Lombardia (1966, 1973), la Milano-Sanremo (1974).
È stato 2 volte Campione d'Italia (1968, 1972)
Ha vinto 7 tappe al Tour de France, 5 tappe al Giro d'Italia, 1 tappa alla Vuelta, il Giro del Lazio (1967), la Coppa Placci (1966), la Coppa Agostoni (1966, 1974), il GP delle Nazioni a cronometro (1967, 1968), il Trofeo Baracchi (1968, in coppia con Jacques Anquetil), il Giro di Romandia (1969), il Giro del Piemonte (1971, 1973) e il Giro di Catalogna (1972).
Non si è mai ritirato durante le 14 edizioni del Giro d'Italia cui ha partecipato e, dal 1965 al 1976, si è piazzato sempre tra i primi dieci nella classifica generale. Al Tour del 1972 si è classificato secondo assoluto, così come al Mondiale di Mendrisio (1971), alla Milano-Sanremo (1971), al Giro delle Fiandre (1969) e al Giro di Lombardia (1967 e 1970).

Su pista, ha vinto 2 volte la Sei Giorni di Milano (nel 1972, in coppia con Sigi Renz e nel 1977, in coppia con Rik Van Linden) e 3 volte il Campionato Italiano Omnium (1976, 1977 e 1978).

Ha corso per 2 squadre ciclistiche, la Salvarani (dal 1965 al 1972) e la Bianchi (dal 1973 al 1979).