
Contrariamente al pensiero unico che domina il discorso sull’argomento nella saggistica e nei media, l’approccio di Claudio Giunta ai temi riguardanti la scuola è problematico. Mentre professori e giornalisti, anche famosi e si presume competenti, vorrebbero più istruzione, più insegnanti, più laureati, Giunta si chiede cosa produca il sistema scuola, sul quale si investono così tante risorse pubbliche.
Al di là della retorica strumentale e talvolta stucchevole dei “cervelli in fuga”, secondo Giunta la nostra università, oltre a pochi talenti, che forse - aggiungo io - lo sarebbero comunque indipendentemente dall'istruzione ricevuta, laurea “studenti mediocri, che restano mediocri ma superano lo stesso gli esami, e si laureano lo stesso, perché a tutti fa comodo così”. Più avanti rincara la dose: “ … dall’università escono ‘dottori’ insieme impreparati e arroganti, superbi del titolo” .
Siamo ben lontani, dunque, dai toni conformisti e trionfalistici cui ci hanno abituato tanti esimi cattedratici, consulenti ministeriali ed editorialisti della carta stampata che vorrebbero più fondi per perpetuare il sistema e aumentare il numero dei laureati, come se fosse quello il problema più impellente del Paese. Perché la scuola è anche questo: interesse di alcune categorie professionali e business.
Scrive Giunta:
Sulla scuola sono tutti d’accordo. Bisogna finanziare la scuola, difendere la scuola, investire sulla scuola. È l’unico argomento sul quale il dibattito non procede per contrapposizione di tesi ma secondo quella particolare specie di climax che è tipica del linguaggio infantile: ‘sempre uno più di te’. Più soldi, più spazi, più ore.La scuola finisce, in questo modo, per riprodurre se stessa, per trasformarsi in un gigantesco mostro burocratico capace soprattutto di elargire una montagna di stipendi a chi ci lavora.
Il tema centrale dell’interessante libro di Giunta è il posto che occupa attualmente la cultura umanistica nella nostra società e nei programmi scolastici. Le conclusioni cui perviene l'autore sono amare, sconsolate, ma realistiche: il valore della cultura umanistica è attualmente in ribasso nella nostra società tecnologica, consumista e globalizzata.
Sottolinea Giunta:
... è successo soprattutto questo: che la scienza e la tecnologia hanno rivoluzionato il mondo in cui viviamo; e che la vita, nelle società occidentali, è diventata così complessa da sollecitare sempre di più le competenze non di intellettuali capaci di interpretare il mondo (storici, filosofi) ma di esperti settoriali capaci di farlo funzionare.Oggi hanno potere, denaro e prestigio principalmente i tecnici (nemmeno gli scienziati puri) che sanno far marciare la macchina produttiva. Difendere in maniera retorica la cultura umanistica non è più forse la buona battaglia che dobbiamo combattere. Pochi ormai si augurano per il proprio figlio, come faceva il bidello impersonato da Aldo Fabrizi in un film del 1946, un futuro da insegnante di latino.
Ciò non vuol dire che la nostra società non abbia ancora bisogno di humanities. Ma c’è l’urgente necessità di fare un passo indietro: servono pochi umanisti specializzati e ben preparati. Le facoltà umanistiche non devono più essere il ricettacolo di una massa di studenti che non sono portati per lo studio o che non si vogliono impegnare. Ciò demoralizza la minoranza studiosa e di talento che invece andrebbe valorizzata, incoraggiata e incentivata adeguatamente. Meno (studenti, sedi universitarie, cattedre, docenti, funzionari, laureati, denaro investito) talvolta è meglio.
Dopo aver criticato le mode pedagogiche che infestano la nostra scuola producendo, in una incomprensibile neolingua, fatui discorsi sul nulla, Giunta concludendo si augura uno svecchiamento dei programmi scolastici e un loro intelligente aggiornamento alle esigenze di una scuola di massa. Certo, i laureati italiani, per la maggior parte, non sanno scrivere correttamente e neppure argomentare con efficacia, ma dobbiamo convincerci che si tratta di abilità non più così richieste dal mondo del lavoro.
Il volume contiene molte altre considerazioni, certamente interessanti, alcune condivisibili, altre meno (per esempio la necessità di scrivere prima a mano e poi al computer). Talvolta a me è sembrato che Giunta si contraddica e si ha l’impressione che l’ottica professorale, con la quale i problemi sono inquadrati, da un lato garantisca competenza ed esperienza, ma dall’altra manchi di un po’ del coraggio necessario per radicalizzare ulteriormente il discorso. Di sicuro, nell'ambito dell’annoso dibattito sulla “crisi della scuola italiana”, di libri così ne vorremmo leggere di più.