
Per chi individua nel pluralismo un valore, fa quindi piacere sentire una voce diversa e dissonante, come quella di Dani Rodrik, definito nella quarta di copertina "economista di fama internazionale, nato a Istanbul, [che] insegna da molti anni negli Stati Uniti." Docente in istituzioni come Harvard University e Princeton University, Rodrik è considerato uno dei massimi esperti mondiali in tema di globalizzazione.
Ebbene Rodrik, autore in passato di saggi di successo come La globalizzazione intelligente e Ragioni e torti dell'economia mette in discussione molti dei dogmi propalati dall'ideologia (neo)liberista oggi dominante. Per esempio che il mercato sia davvero l'istituzione più importante di uno Stato democratico e che debba essere assolutamente libero. Per l'autore è il contrario: solo istituzioni forti garantiscono il buon funzionamento del mercato, che tutt'altro che libero deve essere soggetto ai limiti imposti dalle istituzioni statali (democratiche), che agiscono nell'interesse generale dei cittadini. In determinate situazioni è necessario, anzi, che lo Stato intervenga attivamente sull'economia di un Paese.
Secondo Rodrik il liberismo globalizzato ha devastato la classe media, spina dorsale del funzionamento degli stati democratici. L'erosione dei diritti dei lavoratori (e dei pensionati) poi, così di moda in questi anni, lungi dal contribuire alla crescita economica, serve soltanto ad ingrassare ulteriormente le classi dominanti e le grandi imprese multinazionali. Perché non è vero che gli interessi della classe media e delle oligarchie economiche coincidono. Talvolta coincidono, spesso divergono. Alla faccia della vulgata corrente.
Secondo l'autore di questo saggio, lo Stato nazionale è stato dato per morto troppo presto; tuttavia, fino a prova contraria, tutte le democrazie mature sono nate all'interno di stati nazionali. E, infine, iperglobalizzazione, democrazia e sovranità nazionale non sono facilmente conciliabili. Al contrario, l'iperglobalizzazione sembra ostacolare il raggiungimento, per gli Stati-nazione, della prosperità economica, della stabilità finanziaria e dell'equità.
L'esame delle argomentazioni di Rodrik, molto più articolate e ampie di quanto esposto, richiederebbe un'analisi più competente e meno superficiale. Tuttavia questo suo saggio ha il merito di aprire gli occhi al lettore comune, di renderlo consapevole che, a dispetto di grafici, statistiche e calcoli econometrici, l'economia non è una scienza esatta. Rodrik ci ricorda che:
"[...] l'economia non è un insieme di conclusioni predefinite o di prescrizioni politiche bensì una disciplina estremamente legata al contesto e che può offrire soltanto risposte contingenti. Praticamente non esiste una sola domanda in campo economico a cui non si possa adeguatamente rispondere con un 'dipende'.
[...] la professione economica non è stata in grado di fornire una guida utile per tirare fuori l'economia mondiale dal disastro in cui si era cacciata. Le opinioni degli economisti in materia di rimedi monetari, fiscali e normativi per una ripresa e una crescita a lungo termine non hanno mai trovato un punto di incontro".
Tutta quella matematica esibita sovente non è altro che fumo volto a mistificare la realtà e a nascondere un'ideologia sottostante. Non si danno certezze in economia e chi le ostenta è in verità un millantatore. Le soluzioni si ottengono sperimentando e rifacendosi ad esperienze pregresse che hanno funzionato, consapevoli tuttavia che ogni popolo e ogni nazione deve trovare la via per la prosperità che più gli si addice.