copertina libroImparare rappresenta la maggiore attitudine del nostro cervello. La facoltà di apprendere, di imparare e sviluppare nuove competenze durante l'intero arco dell'esistenza costituisce il tratto fondamentale della nostra specie. Imparare significa costruire e via via perfezionare un proprio modello del mondo. Significa sviluppare delle ipotesi e dei quadri interpretativi del mondo, modificabili in base ai dati che ci provengono dall'esterno e dall'interno di noi stessi.

Secondo gli empiristi, a partire da Locke, il cervello è una tabula rasa, che l'individuo riempie tramite le esperienze sensoriali. Le più recenti scoperte dei neuroscienziati smentiscono tale teoria. Già nella vita intrauterina, infatti, il nostro encefalo dà la prova di possedere delle strutture identificabili, predisposte all'apprendimento. Il neonato possiede già una molteplicità di competenze e intuizioni. I bambini manifestano molto presto una loro comprensione del mondo, che deriva loro principalmente della storia evolutiva dell'uomo, trascritta nei loro circuiti neuronali. L'essere umano, per esempio, possiede la percezione innata del concetto di numero, così come la possiedono altre specie animali. Possiede altresì il concetto innato di probabilità, tanto è vero che il bambino di pochi mesi manifesta sorpresa ad ogni evento inatteso e imprevisto.

"Il bambino si comporta come uno scienziato in erba che sa ragionare", sintetizza il neuroscienziato cognitivo francese Stanislas Dehaene, essendo la probabilità il linguaggio della scienza. Dobbiamo di conseguenza concludere, come suggeriva il filosofo della scienza Gaston Bachelard, che "il bambino nasce con un cervello incompleto e non, come afferma il postulato dell'antica pedagogia, con un cervello vuoto”.

Il cervello umano possiede una grande resilienza. È in grado di generare apprendimento anche dopo aver subito gravi danni. Possiede una notevole plasticità che, tuttavia, non è infinita. Il sistema nervoso dell'essere umano dispone della straordinaria capacità di adattarsi rapidamente alle pressioni ambientali, anche se imprevedibili. La flessibilità del nostro sistema cognitivo ci ha permesso di evolvere nel corso dei secoli e dei millenni e di modificare radicalmente la nostra condizione di partenza. Secondo Dehaene, gli anni di scolarizzazione potenziano notevolmente la nostra capacità di conoscenza. In uno slancio di ottimismo progressista, che talvolta desta perplessità nel lettore, Dehaene afferma che "l'invenzione della scuola ha decuplicato il nostro potenziale cerebrale" e l'insegnamento universitario costituisce una "vera e propria raffineria neurale dove i nostri circuiti cerebrali acquisiscono le loro capacità migliori".

L'autore passa poi a tessere l'elogio delle neuroscienze: possedere un modello scientifico del proprio apparato cognitivo facilita l'apprendimento. E le istituzioni scolastiche dovrebbero tenere in gran conto le nuove scoperte dei neuroscienziati.
Ma quali sono dunque le tecniche più efficaci, scientificamente fondate, per migliorare il processo di apprendimento di ciascuno di noi?

Come primo punto Dehaene cita l'impegno attivo. Senza concentrazione, senza imparare a filtrare gli innumerevoli e spesso eccessivi stimoli che ci provengono dall'ambiente non si impara veramente nulla. Per tale motivo gli insegnanti devono cercare di catturare l'attenzione degli studenti. Una lezione ascoltata passivamente non produce apprendimento. Importante poi è saper suscitare il coinvolgimento attivo, la curiosità e la passione per gli argomenti trattati. E valorizzare l'errore: "accettiamo e correggiamo gli errori", perché l'errore rappresenta la condizione stessa dell'apprendimento. Rivalutiamo infine il sonno, che permette il consolidamento di quanto appreso durante la giornata.

Nessun computer, nessuna macchina elaboratrice è mai stata in grado di eguagliare il cervello, che risulta ancora più veloce, efficiente e flessibile di qualsiasi dispositivo meccanico. Gli sforzi devono dunque concentrarsi nel consentire lo sviluppo di tutto il potenziale cognitivo nostro e dei nostri ragazzi. Dobbiamo sfruttare l'enorme capacità di bambini e adolescenti di imparare nuove lingue. Arricchiamo il loro ambiente di stimoli opportuni, rispondiamo alle domande che ci pongono, cerchiamo di spiegare loro il funzionamento del mondo.
Non è vero che ognuno ha il proprio stile di apprendimento, ma è vero che ognuno ha velocità di assimilazione e gusti diversi. Evitiamo libri di testo troppo illustrati che distolgono l'attenzione. "Facciamo in modo che il bambino sia attivo, curioso, coinvolto, autonomo". Rendiamo la scuola un piacere, che non esclude tuttavia lo sforzo e la fatica di imparare. Incoraggiamo gli studenti e rammentiamo loro, nel contempo, che nulla di importante è facile. Stabiliamo degli obiettivi chiari. Ripassiamo di continuo, per consolidare l'apprendimento e per fissare le nuove informazioni nella memoria. Evitiamo ai nostri ragazzi levatacce e inizio delle lezioni a orari troppo mattutini. Favoriamo il processo di acquisizione di nuove nozioni graduale e costante: meglio poco ogni giorno che tutto in un'unica sessione di studio.

Riassumendo, secondo Dehaene, i quattro pilastri dell'apprendimento sono: attenzione, coinvolgimento attivo, riscontro dell'errore e consolidamento. Che si possono tradurre in quattro semplici slogan che, come ci ricorda l'autore, possono essere così espressi: "concentratevi totalmente"; "partecipate in classe"; "fate degli esercizi"; "approfittate di ogni giorno e ogni notte". Questo fin dalla più tenera età.
L'autore propone infine un'alleanza, nella scuola di domani, di insegnanti, genitori e scienziati, coesi a rendere efficace e gioiosa l'esperienza dell'apprendimento.