
La psicoanalisi ha condizionato per decenni la cultura occidentale e gli psicoanalisti sino a qualche lustro fa occupavano cattedre universitarie da una parte all'altra dell'Atlantico.
Forse l'epoca d'oro della psicoanalisi è finita. In Francia, per esempio, Michel Onfray (Chambois, 1959), uno dei pensatori più à la page d'Europa, dopo aver esaminato l'intero corpus freudiano, formula in questo suo saggio una critica radicale alla psicoanalisi, confessando di esserne stato lui stesso condizionato negli anni giovanili.
Per Onfray la dottrina di Freud (interpretazione di sogni, rimozione, sublimazione, complesso di Edipo, origine sessuale delle nevrosi, uccisione del padre, scomparsa dei sintomi dopo la presa di coscienza, ecc.) non è altro che il tentativo del medico viennese di venire a capo dei propri problemi esistenziali. Il pensiero di Freud non è assolutamente originale, ma affonda le sue radici nelle filosofie di Schopenhauer e di Nietzsche.
La terapia analitica è una forma di pensiero magico, che produce tutt'al più un effetto placebo. I celebri casi clinici raccontati da Freud nei suoi libri non corrispondono alla realtà dei fatti, sono manipolati. Si tratta in definitiva di letteratura, ben scritta, ma sempre fiction rimane.
La pretesa della psicoanalisi di essere una teoria scientifica è infondata, nonostante l'abilità retorica del fondatore ci voglia far credere il contrario. La psicoanalisi è diventata uno sorta di religione in un'epoca postreligiosa e il suo ideatore, oltre che essere un medico spregiudicato si rivelò in più di un'occasione un clinico maldestro.
Si tratta di critiche tutt'altro che nuove, ma la traduzione di libri come quello di Onfray sono salutari nel nostro Paese per rompere il muro di conformismo culturale che dura da troppo tempo e per procedere ad un salutare processo di desacralizzazione di una teoria e del suo creatore.