Matthew Crawford, Il lavoro manuale come medicina dell'anima. Perché tornare a riparare le cose da sé può renderci felici, Mondadori, 2010
(titolo originale: Shop Class as Soulcraft, 2009)

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copertinaNon ho purtroppo grandi abilità pratiche e mai, qualora mi abbia sfiorato l'idea, mi sono creduto capace di smontare un motore a scoppio. Sarebbe probabilmente più facile, per me, fondare un impero. Tuttavia il mondo della pratica mi ha sempre affascinato e, adesso che ci penso, molti meccanici di auto con cui ho avuto a che fare assumevano davvero, davanti alla riparazione richiesta, un'aria pensosa da filosofo alle prese con un problema gnoseologico di difficile soluzione.

Era dunque prevedibile che mi lasciassi tentare dalla lettura di questo Il lavoro manuale come medicina dell'anima dello statunitense Matthew Crawford che, - assicurano  le note biografiche -, è filosofo laureato all'Univesità di Chicago e meccanico titolare di un'officina a Richmond, in Virginia.

Crawford, nel suo libro, tesse le lodi del lavoro manuale, soprattutto quando l'attività manuale si esplica sotto forma di artigianato. Il lavoro dell'artigiano, contrapposto all'alienazione dell'operaio della catena di montaggio, si confronta quotidianamente, secondo Crawford, con problemi che richiedono conoscenza, esperienza, attenzione e piena aderenza alla realtà. Per svolgere al meglio la propria opera, l'artigiano deve possedere capacità cognitive non comuni, ma anche virtù morali ormai in disuso. 
"Il lavoro manuale specializzato implica un incontro sistematico con il mondo materiale identico a quello che dà origine alle scienze naturali".
Al contrario di quanto accade nel lavoro d'ufficio, risulta inoltre subito evidente, all'artigiano e al suo committente, se il lavoro è stato svolto a regola d'arte e proprio dall'esecuzione di un lavoro ben fatto l'artigiano trae la propria fondata autostima. Un'autostima non astratta e calata dall'alto, ma basata su risultati pratici e concreti.

La creatività dell'artigiano non è una generica qualità da liberare, uscendo da prospettive conformiste, come ci incitano a fare i moderni pedagoghi, ma il frutto di anni di lavoro e di amore per la propria attività. La creatività dell'artigiano è basata sull'esperienza e l'intuizione. L'artigiano esperto possiede infatti quel quid, nella soluzione dei problemi cui si applica, che nessun computer, nessun libretto di istruzioni, nessuna lista di regole e nessun programma standardizzato di insegnamento possono garantire.

In tempi di crisi del mercato del lavoro, non ha senso, secondo Crawford, indirizzare tutti i ragazzi all'università, come se fuori dall'università non ci fosse salvezza. Imparare un mestiere manuale, invece, spesso permette di guadagnare "di più come artigiano autonomo che tra le quattro mura di un ufficio, a fare il guardiano ai sistemi di informazione o a fare il creativo di 'bassa lega'".

In un'economia globalizzata come la nostra, è più facile, infatti, sostituire a minor costo, rivolgendosi a manodopera straniera, operatori telefonici, impiegati e dattilografi, ma anche scienziati, matematici, architetti e redattori che non un bravo idraulico.

La verità è che sul lavoro manuale grava, nella nostra epoca, un pregiudizio immotivato, come se il lavoro manuale richiedesse soltanto forza muscolare e non anche pensieri e capacità di collegare il cervello alle mani.

Il libro di Matthew Crawford è un eccellente saggio capace di mettere salutarmente in crisi i tanti luoghi comuni, spacciati per certezze, talvolta con irritante sicurezza anche da  accreditati accademici in articoli e nei talk show, circa la società in cui viviamo, il nostro sistema educativo e la nostra cultura.

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Pagina aggiornata il 30.05.10
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