CAVOUR
La politica estera.
la
guerra di Crimea e il congresso di Parigi. Dopo il 1849
la
politica estera del Piemonte si era fondata su alcune direttive rimaste
valide
anche nei primi anni del ministero di C.: stretti legami con la Francia
in
funzione antiaustriaca; salvaguardia della posizione conquistata davanti
all’opinione
nazionale italiana; rinuncia temporanea a nuove iniziative,
sconsigliate
dalla generale reazione europea. Dopo i moti mazziniani di Milano
del
1853 e il sequestro dei beni degli emigrati lombardi in Piemonte da parte
del
governo austriaco, le relazioni diplomatiche tra i due stati entrarono in
crisi.
In tale situazione intervenne la crisi d’Oriente e la richiesta di un
intervento
piemontese da parte di Francia e Inghilterra, a cui Vittorio Emanuele
II
intendeva aderire nella speranza di ottenere guadagni di prestigio e di
territorio
in Italia. Nonostante le resistenze dei colleghi di gabinetto, che
avrebbero
voluto precise garanzie anti-austriache, C. decise di entrare senza
riserve
nell’alleanza franco-inglese (10-I-1855). Il ministro degli esteri
Dabormida
si dimise e C. lo sostituì provvisoriamente. Il trattato fu approvato
in
parlamento nel febbraio, tra vivaci opposizioni della destra e della
sinistra.
Il Piemonte partecipò alla guerra di Crimea con un esiguo corpo di
spedizione
(15.000 uomini) che prese parte solo alla battaglia della Cernaia
(16-VIII-1855),
ma l’episodio ebbe notevole eco presso l’opinione piemontese e
italiana.
A fine guerra, nel congresso apertosi il 25-II-1856 a Parigi, C.
riuscì
a ottenere che il Piemonte partecipasse ai lavori su un piano di parità
con
gli altri paesi. Dopo la firma del trattato, nella famosa seduta dell’8
aprile,
furono discussi i problemi italiani: il rappresentante inglese lord
Clarendon
formulò aspre critiche contro il malgoverno pontificio e C. mise in
rilievo
i pericoli derivanti dall’instabilità politica dei governi reazionari e
dall’occupazione
austriaca di territori pontifici.
L'alleanza con la Francia e la guerra contro l'Austria.
Benché
non si fossero raggiunti risultati concreti, come un impegno
dell’Inghilterra
contro l’Austria, che pure C. aveva cercato, il Piemonte
guadagnò grande prestigio per aver parlato a
Parigi a nome di tutta
la penisola e l’opinione pubblica fu
favorevolmente impressionata dal
riconoscimento internazionale dell’anormalità
della situazione italiana.
C. ottenne così grande successo in parlamento
e da allora le sue fortune
e quelle del partito liberale furono
strettamente legate alla causa nazionale.
Nel 1857 le relazioni diplomatiche con
l’Austria giunsero alla completa rottura,
mentre si procedeva all’armamento della
fortezza di
Alessandria
mediante pubblica sottoscrizione. Maggiore significato ebbero i
contatti
avviati da C., a partire dal 1856, con la Società Nazionale, che
permisero
di raccogliere intorno al governo piemontese molti patrioti delusi
dalle
infelici insurrezioni mazziniane di Genova e Livorno e dalla spedizione di
Carlo
Pisacane a Sapri (1857). L’attentato di Felice Orsini (4-I-1858) a
Napoleone
III persuase l’imperatore a interessarsi nuovamente del problema
italiano:
C. fu così invitato a colloquio segreto nella stazione climatica di
Plombières.
Il 21 luglio, in due incontri, furono fissate le direttive future:
provocazione
di una guerra in cui l’Austria doveva apparire aggressore;
costituzione
di un regno dell’Alta Italia sotto Vittorio Emanuele e di un regno
dell’Italia
centrale sotto un sovrano da designare; riduzione dello stato
pontificio
al patrimonio di San Pietro ed eventuale passaggio del regno di
Napoli
a Luciano Murat; cessione di Savoia e Nizza alla Francia; matrimonio
della
principessa Clotilde di Savoia con il principe Girolamo Napoleone. Il
26-28
gennaio 1859 venne firmato il trattato segreto di alleanza con la Francia,
ma
il progetto di C. di giungere a una guerra sembrò vacillare per le iniziative
di
Inghilterra e Russia dirette a risolvere in forma diplomatica la questione
italiana;
i tentennamenti della Francia e la proposta di un disarmo generale
scoraggiarono
ulteriormente il conte. Ma il 21 aprile l’Austria inviò un
ultimatum
al Piemonte con la richiesta di disarmo e il 28 aprile dichiarò
guerra,
figurando così come aggressore. C., che oltre al ministero degli interni
e
degli esteri aveva assunto il portafoglio della guerra, dispiegò anche in
questo
settore un’attività prodigiosa. Ai successi militari in Lombardia (
Indipendenza,
guerre di), si aggiunse il rovesciamento dei governi dell’Italia
centrale
a opera di forze moderate legate all’iniziativa cavouriana.
L’armistizio
di Villafranca tra Napoleone III e Francesco Giuseppe (8-11
luglio),
concluso all’insaputa dei piemontesi, infranse il disegno di Cavour. La
Francia
ottenne per il Piemonte la Lombardia, ma C., dopo aver cercato di
persuadere
il re a proseguire la guerra, si dimise.
Le dimissioni. Il ritorno al governo. La spedizione dei Mille.
Durante
il nuovo ministero La Marmora-Rattazzi, C. rimase ai margini dell’attività
politica
ufficiale,
ma la volontà di annessione dei governi dell’Italia centrale mise
Vittorio
Emanuele II in una difficile posizione diplomatica, e C., che agli
occhi
dei liberali moderati impersonava la causa nazionale, fu richiamato al
potere
(21-I-1860). Nel marzo 1860 i plebisciti in Emilia e Toscana proclamarono
l’annessione
al Piemonte, mentre l’accordo del 24-III-1860 stabilì la cessione
di
Nizza e Savoia alla Francia sollevando aspre critiche della destra e della
sinistra.
La popolarità di C. era uscita logorata da questa vicenda. E ciò
influì
sull’atteggiamento del governo nei confronti della spedizione dei Mille.
Sulle
prime C. conservò un atteggiamento di attesa, autorizzando l’invio di
armi,
e non di uomini, ma dopo i primi successi garibaldini l’appoggio divenne
più
aperto. Nell’estate 1860 commise l’errore di insistere per l’annessione
immediata
della Sicilia al Piemonte, che avrebbe reso impossibile il compimento
dell’impresa
meridionale, ma la sua posizione era motivata dal timore del
pericolo
repubblicano e dell’esautoramento della monarchia. Mentre Garibaldi
scriveva
al re l’11 settembre chiedendo le dimissioni di C., questi mise in atto
la
sua decisione più rilevante: la spedizione piemontese nelle Marche e
nell’Umbria,
con l’assenso di Napoleone III, al fine di restituire l’iniziativa
al
partito moderato e alla monarchia. Dispersi i pontifici a Castelfidardo
(18-IX-1860),
le truppe regie entrarono nel regno di Napoli e il 23 ottobre, nei
pressi
di Teano, Garibaldi consegnò il potere a Vittorio Emanuele II. Un
plebiscito
sancì l’annessione del Mezzogiorno al Piemonte. Poco dopo furono
effettuate
le elezioni per il primo parlamento nazionale italiano che si riunì a
Torino
il 18-II-1861: e su proposta di C., votata dal parlamento il 28 febbraio
e
il 14 marzo, venne proclamato il Regno d’Italia (17 marzo).
La questione romana. La morte.
Restavano
ancora le questioni di Venezia e, soprattutto, di Roma. Le trattative
avviate per un accordo con il pontefice
fallirono. Il 27-III-1861 C. enunciò
solennemente alla camera il principio
separatista
della «Libera Chiesa in libero Stato» e in conclusione della seduta
Roma
venne proclamata «capitale acclamata dall’opinione pubblica nazionale». Il
18
aprile Garibaldi, intervenuto in parlamento, attaccò violentemente C.,
accusandolo
di aver ostacolato la spedizione dei Mille; lo scontro venne
superato
formalmente per intervento del re. Proseguiva intanto il lavoro di
organizzazione
del nuovo regno, ma la sera del 29 maggio C. fu assalito da
febbri
malariche che, malamente curate, lo condussero alla tomba il mattino del
6-VI-1861,
a meno di 51 anni.
[
ROSARIO ROMEO ]
appunti
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