copertina libroViviamo in un'età di grandi trasformazioni (ma quale epoca non lo è?), eppure i media tradizionali e la stragrande maggioranza delle persone sembrano non accorgersene. Quando si parla di scuola anche gli editorialisti più famosi e gli opinionisti più seguiti, per non parlare degli accademici, non sono capaci di formulare altro che discorsi conformisti, limitandosi spesso ad invocare i fasti (spesso inesistenti) del buon tempo andato.

Va dato atto che la scuola, quella reale, si è spinta oltre gli angusti orizzonti dei commentatori ed ha tentato negli ultimi decenni di assorbire i mutamenti e le esigenze nascenti che la società le poneva di fronte. Quando si dice che la scuola italiana è rimasta immobile negli ultimi cento anni forse non è del tutto vero. Tuttavia l'impressione è che si sia fatto troppo poco sulla strada della riforma e del cambiamento.

L'immagine che suscita la scuola italiana, pur con tutte le lodevoli eccezioni del caso, è tuttora quella di un Moloch conservatore, proteso gattopardescamente a cambiare qualcosa affinché nulla veramente cambi. Con al centro gli interessi di chi ci lavora a scapito di chi vi studia.

Eppure le neuroscienze e lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto i nuovi strumenti digitali, stanno imprimendo un'accelerazione al modo in cui oggi concepiamo l'apprendimento. Sappiamo di più sui meccanismi neurofisiologici attraverso i quali elaboriamo nozioni, competenze e abilità e lo sviluppo delle Rete ci mette a disposizione una messe di informazioni e la possibilità infinita di scambiarle, mai viste prima. È diventata inoltre più diretta la possibilità di mettersi in contatto e talvolta dialogare con esperti di ogni settore della conoscenza, un tempo irraggiungibili.

Appare anacronistico perciò continuare a credere che si impari soltanto all'interno di un'aula scolastica, alla presenza di una figura preposta (l'insegnante) alla trasmissione del sapere, quando invece le esperienze di apprendimento sono ormai così diffuse. Se vogliamo quindi che la scuola non si trasformi, come già oggi si appresta ad essere, in un vuoto rito privo di significato, è necessario ripensare profondamente le modalità attraverso le quali si trasmette la conoscenza. E forse occorre rendere l'istituzione scolastica meno monolitica, più flessibile e più aperta alla società e alla vita.

Ben vengano perciò libri come questo del pedagogista Daniele Novara, che propone nel suo ultimo vivace saggio un modello concreto di nuova scuola. L'autore dichiara guerra alla vecchia lezione frontale, considerata noiosa e poco efficace e propone un metodo maieutico di insegnamento, che metta al centro di tutto il processo scolastico lo studente e che trasformi l'insegnante in un tutor, in un regista, in un coordinatore e facilitatore dell'apprendimento.

La scuola proposta da Novara è una scuola viva, dove gli apprendimenti nascono dalle esperienze e necessità vitali degli alunni, coinvolgono la loro sfera emotiva oltre che quella logico-razionale e sono in grado di generare motivazione e passione. Serve a poco, secondo Novara, memorizzare a breve termine nozioni, che poi si dimenticano nell'arco di pochi giorni. Nella società di massa non ha più senso la scuola dei voti, della minaccia di sanzioni disciplinari, dell'autoritarismo, della punizione dell'errore. Non si deve agire sulla leva del controllo, quanto su quella della motivazione. Accogliendo l'unicità di ciascuno, scoprendone e sviluppandone i talenti e incoraggiandone l'evoluzione.
Il pedagogista mette in dubbio la validità di un metodo di insegnamento delle varie discipline diacronico e a compartimenti stagni, a favore di un metodo più sincronico ed olistico, un approccio alla conoscenza più trasversale e multidisciplinare. Portando come esempio il metodo di insegnamento della medicina adottato recentemente dall'Università di Harvard che tende a superare gli storici steccati tra chimica, fisica, biologia, anatomia, fisiologia e patologia.

Le proposte del pedagogista piacentino si avvicinano al modello didattico rappresentato dalla flipped classroom (la "classe capovolta"): gli studenti imparano dai loro compagni. Sono loro a far lezione, ad esporre in classe, dopo aver ricevuto gli opportuni stimoli dagli insegnanti (di frequente un breve video introduttivo) e aver approfondito la materia a casa.
La scuola in cui lo studente diventa protagonista della propria educazione dovrebbe incentrarsi sulle domande invece che sulla "giusta risposta". Dovrebbe favorire la cooperazione tra pari, invece che la competizione e dovrebbe sviluppare l'apprendimento dell'abilità di lavorare efficacemente in gruppo, dando ciascuno il proprio contributo. A scuola, infine, sarebbe imprescindibile trovare un ambiente accogliente e stimolante, non l'atmosfera terrorizzante, costrittiva e angosciosa che ancora troppe volte grava sui banchi. A scuola si dovrebbe andare volentieri.

I riferimenti teorici e operativi di Novara sono importanti: si va da Dewey a don Milani, da Maria Montessori a Paulo Freire, Danilo Dolci, Jean Piaget, Mario Lodi, Alberto Manzi, Howard Gardner. Le proposte del pedagogista piacentino sono ragionevoli e pratiche e sono in larga parte condivisibili. Purché non diventino dei nuovi dogmi. Se un appunto si può muovere al progetto di Novara è quello di concepire, a mio avviso, una scuola eccessivamente collettiva ed estroversa, nell'insistere eccessivamente sul gruppo e sulla socievolezza, a scapito dell'individuo e delle sue insopprimibili necessità di silenzio e di raccoglimento, di riflessione e di studio autonomo e solitario.

ordina

I libri di Daniele Novara