copertina libroPaolo Sollier nasce a Chiomonte, in Val di Susa, il 13 gennaio 1948. I suoi si trasferiscono a Torino, dove Paolo per un breve periodo fa l'operaio turnista alla Fiat di Mirafiori. A Torino si trova bene. La città, per un ragazzo come lui che viene della provincia, è ricca di stimoli. È perciò con qualche apprensione che accetta il trasferimento per disputare il campionato di serie B in quel di Perugia, reduce da alcune stagioni nella Pro Vercelli in terza serie.

Da Torino a Perugia ci va in Cinquecento, dieci ore di autostrada. Arrivato in città, i primi giorni si sente smarrito, come uno che sia stato sradicato dalle proprie origini. L’allenatore biancorosso è il leggendario Ilario Castagner, allora un giovane semisconosciuto, agli inizi di una folgorante carriera. Sollier sperimenta la noia della preparazione estiva, che però ha il pregio di rimettere in sesto il fisico intossicato da un mese di vacanza. Il parco giocatori del Perugia sembra un po’ l’armata Brancaleone: sono quasi tutti giovani provenienti dalla serie C. Durante il lungo periodo di ritiro sono naturalmente le ragazze l’argomento principe nelle conversazioni tra calciatori.

Sollier è un ribelle, uno che pensa con la propria testa e vive fuori dai consueti schemi. Si considera "un cane sciolto", definizione molto in voga negli anni Settanta negli ambienti della gioventù contestatrice di sinistra. Ama il calcio giocato, ma non gli piace per niente l'ambiente che vi ruota attorno. Secondo lui il calcio, come è comunemente inteso, favorisce l’individualismo più gretto e una filosofia di vita semplicistica del tipo “fai la tua strada, i tuoi soldi, i tuoi successi, la tua casa, la tua donna”.
Presi soltanto dall'attività professionale, i calciatori, almeno per la maggior parte, ignorano i problemi sociali, mancano di spirito critico, prendono per vangelo le verità che propina la televisione, sono qualunquisti. Tra di loro mantengono rapporti talvolta anche piacevoli, ma quasi sempre superficiali.
Sollier crede che il mondo del calcio vada profondamente riformato, che i presidenti dei club, mentre si lamentano costantemente per i soldi spesi, facciano in realtà i propri interessi, procurandosi pubblicità semigratuita per le proprie aziende e attività commerciali.
Denuncia poi la mancanza in Italia di una vera cultura sportiva. Gli italiani sono sportivi da poltrona, al massimo da gradinata. Mancano gli impianti, manca l'educazione allo sport. Non esiste insomma una politica che incoraggi una vera pratica sportiva di massa.
A Paolo non piace firmare autografi, non gli piacciono i club di tifosi, gli ultrà, tanta energia e creatività, -egli dice -, male incanalate.
Si sente femminista, lo è sempre stato. Non concepisce la discriminazione tra i sessi. “Lavo i piatti, preparo da mangiare, pulisco in terra, faccio la spesa, vivo da uomo di casa, mi sento il fianco domestico abbastanza al riparo dalle critiche”.

Sollier diventa così, per tutto l'ambiente sportivo, "il calciatore rosso" oppure "l’intellettuale" o "il militante pallonaro". Tra gli stessi compagni di squadra, è soprannominato "Mao", oppure "Ocimin". Quando scende in campo, barba e capelli lunghi, saluta il pubblico a pugno chiuso. Diventa un personaggio e se uno è un personaggio se ne può scrivere, creare sensazione. Diventa famoso, più che per le sue qualità di calciatore, perché è politicizzato, perché il pugno chiuso non si era mai visto sui campi di calcio, fa spettacolo, colore. Per la stampa è “il calciatore ultrarosso”, “il compagno centravanti”, “il pugno sinistro (chiuso) di Dio".

A Perugia Sollier non ingrana subito come calciatore e nemmeno come uomo. Sperimenta una iniziale angosciosa solitudine. Scrive poesie, compra libri. Gli piace Garzia Marquez. Cassola gli pare invece uno scrittore insulso. Malgrado le sue simpatie vadano all’estrema sinistra, le Brigate rosse non lo entusiasmano.

Neanche Castagner lo entusiasma molto: “un po’ timido, con quattro idee quadrate in testa neppure troppo complicate”, lavora prevalentemente sui muscoli dei giocatori, ma non sa lavorare sulla psicologia, specialmente di chi rimane escluso dalla prima squadra. Eppure il Perugia si ritrova inopinatamente, in quella stagione 1974-75, primo nella classifica di serie B. Si è creato magicamente un gruppo affiatato, il cosiddetto “collettivo” di Castagner.
Il tecnico di Vittorio Veneto si risentirà per le affermazioni su di lui contenute nel libro. I due nel tempo si riavvicineranno. In fondo era stato proprio l'allenatore biancorosso che aveva fortemente voluto Sollier a Perugia, dopo averlo visto giocare con la maglia della Pro Vercelli.

Sollier è un rivoluzionario anti-sistema, è contro il conformismo borghese, trova che il Partito Comunista, nella sua smania ecumenica, si sia eccessivamente ammorbidito tanto da diventare il comodo riparo di troppi opportunisti. Aderisce perciò ad Avanguardia Operaia, una delle formazioni più note dell’extrasinistra. Legge e sostiene il giornale ufficiale della formazione politica, Il Quotidiano dei Lavoratori. Conoscendo le sue simpatie politiche, i dirigenti del Perugia gli promettono di sottoscrivere due abbonamenti al giornale per ogni gol segnato dal centravanti piemontese.

Sul versante agonistico, Sollier è consapevole dei propri limiti tecnici e tattici. È un calciatore che punta tutto sulla corsa e sulla combattività. Scrive:

Continuo a non saper fare gli stop, eppure nel complesso vado bene. Corro. Neutralizzo i piedi di gesso asfissiando chi mi corre dietro. Faccio qualche gol, aiuto la squadra, mi diverto anche. Per uno che doveva morire in quarta serie è fin troppo.

I ritiri, i due giorni in cui si prepara la partita della domenica sono feroci. Per scacciare il tedio i calciatori giocano a carte, guardano la televisione, organizzano scherzi scemi. Compagni con cui Sollier lega particolarmente sono Walter Sabatini (che diventerà "da grande" dirigente della Roma) e Giancarlo “Zumbo” Raffaeli.

I rapporti con la stampa sono difficili. Alcuni giornalisti delle maggiori testate nazionali, sportive e non, lo giudicano male, pregiudizialmente, per le sue idee politiche e perché porta i capelli lunghi. Egli, dal canto suo, esprime la sua riprovazione verso il giornalismo sportivo, per la concezione del calcio che trasmette, ridotto, nella stragrande maggioranza dei casi, a campanilismo, pettegolezzo, oppio dei popoli che anestetizza le masse, impedendo alla gente di divenire cosciente dell'alienazione in cui vive, dei problemi sociali, dei propri veri bisogni.

Nell'anno del suo esordio nel calcio professionistico, dopo un calo inaspettato, dovuto più che altro alla tensione di dover mantenere il primo posto, il Perugia recupera e conquista la promozione in serie A. Anche con l'apporto di Sollier e dei suoi sette gol su azione.
Tra i rinforzi della campagna acquisti estiva arriva a Perugia Walter Novellino, giocatore di un talento calcistico superiore. Sollier si deve così accontentare di accomodarsi in panchina.
Nel prosieguo del campionato, tuttavia, il suo contributo alla squadra diventa prezioso. Gioca praticamente tutte le partite contro le grandi del campionato. Colleziona ventuno presenze e zero gol. O meglio, l'8 febbraio 1976 segna un bel gol a San Siro contro il Milan, "il gol della vita" lo chiama lui, ma gli viene ingiustamente annullato. Con Sollier rientrato in squadra il Perugia, nella stagione 1975-76, si salva in serie A. Lo scudetto è del Torino e i grifoni perugini si classificano all'ottavo posto.
L’anno dopo, l'eretico centravanti viene ceduto al Rimini. La notizia viene resa nota dai giornali prima che sia comunicata al diretto interessato. Sollier, cui dispiace essere ceduto, non la prende bene ed entra in aspra polemica con la società. Alla città di Perugia si era affezionato. È un luogo, ricco di storia, ma ancora a misura d'uomo, in cui gli piaceva vivere.

A Rimini Sollier rimane tre stagioni. Ma questa è una storia che va oltre i contenuti del libro. Molti sono i tecnici che si avvicendano sulla panchina dei romagnoli, tra i quali Osvaldo Bagnoli, "l'allenatore operaio", con cui il nostro entra in naturale sintonia e il Mago, Helenio Herrera. L’ex condottiero della Grande Inter, che tutto ha vinto ai massimi livelli, ha fama di avere una personalità forte, rigida e autoritaria. Ebbene, con lui Sollier riesce a intrattenere buoni rapporti. I due diventano persino amici.

Terminata la carriera di calciatore, Sollier si dedica ad allenare, più che altro nel calcio semiprofessionistico o dilettantistico. Non va oltre la C2. Gli scrittori lo chiamano a guidare la loro nazionale, l'Osvaldo Soriano Football Club. Sollier intanto prosegue con coerenza le altre sue attività predilette: scrive di calcio, ma non solo, su quotidiani e riviste, pubblica un altro libro (Spogliatoio, edizioni Kaos, 2008), fa politica sostenendo attivamente la lista Tsipras e il movimento no-Tav. Continua tuttavia a presentarsi in maniera semplice, come ha sempre fatto, sconfessando l'aura di personaggio che i media gli hanno cucito addosso.

Il libro Calci e sputi e colpi di testa, non a caso periodicamente ristampato, restituisce il clima sociale e culturale degli anni Settanta: i viaggi, l’autostop, “il portare avanti un discorso”, gli scontri non solo ideologici, ma anche purtroppo fisici e violenti tra fazioni politiche avverse, l'autocoscienza, il personale che è politico, l’immaginazione al potere, la liberazione sessuale, la voglia di cambiamento, di uscire dal chiuso della famiglia e della coppia, il reinventarsi quotidianamente, la rivoluzione capillare in ogni ambito dell’esistenza come unica soluzione praticabile per liberarsi di un sistema marcio.
Una sorta di piccolo documento storico a memoria delle future generazioni.

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